Ue-Usa: I rischi del libero scambio

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 17:41

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Nta, Ntma, Tad, Ted o Tafta: queste sigle avrebbero dovuto rafforzare i legami economici fra gli Stati Uniti e l’Europa. Iniziative di cui non avevamo più sentito parlare, ma i cui promotori stanno tornando oggi alla carica.

I lobbisti delle industrie sui due lati dell’Atlantico sono entusiasti. L’economia è favorevole, così come la classe politica, e sulla carta il libero scambio è una buona casa. Tuttavia questa notizia va accolta con profondo scetticismo.

Un cattivo esempio per il resto del mondo

In realtà  se le dogane svolgono ancora un ruolo nel commercio transatlantico, questo è dovuto al volume considerevole di merci scambiate. Nel 2010 le imprese chimiche europee hanno versato quasi 700 milioni di euro al fisco americano per le loro esportazioni verso gli Stati Uniti (anche se i dazi doganali si limitano di solito al 2,25 per cento).

Anche se questa zona di libero scambio dovesse aiutare le imprese, la soppressione di questi dazi doganali non avrà  alcun effetto macroeconomico sulla crescita. A questo scopo bisognerebbe fare progressi non sui diritti doganali, ma sui cosiddetti ostacoli commerciali, che sono considerevoli. Ma è proprio in questo settore che il margine di manovra è limitato – perché alcuni potenti gruppi di interesse, come la lobby agroalimentare, sanno difendersi e perché l’opinione pubblica non è molto interessata a questi argomenti.

In questo modo la legislazione americana impedisce una maggiore armonizzazione del mercato dei farmaci; gli europei rifiutano di importare la carne contenente degli ormoni o il mais ogm proveniente dagli Stati Uniti; e a loro volta gli americani hanno paura dei batteri che potrebbe contenere il manzo di importazione o i formaggi francesi prodotti con metodi naturali.

I negoziati su una maggiore liberalizzazione degli scambi multilaterali, che dal 2001 avanzano stancamente sotto il nome di “Doha round“, hanno mostrato la portata di queste divergenze. L’accordo di libero scambio transatlantico, se mai dovesse vedere la luce, sarebbe quindi lacunoso e questo porrebbe dei problemi. Perché in caso di un accordo poco solido fra l’Unione europea e gli Stati Uniti, i due blocchi commerciali più potenti del mondo darebbero “un cattivo esempio alle altre zone di libero scambio”, avverte Rolf Langhammer, dell’Istituto per l’economia mondiale di Kiel in Germania.

Gli altri paesi sarebbero svantaggiati

Se l’Europa e gli Stati Uniti dovessero mettersi d’accordo sulla liberalizzazione dei loro scambi commerciali, tutti gli altri paesi saranno automaticamente discriminati. Il rischio maggiore è quello di assistere non all’apparizione di nuovi flussi commerciali, ma a un semplice spostamento dei flussi esistenti. Il resto del mondo considererebbe un accordo transatlantico “una forma di esclusione, se non di ricatto, a scapito dei paesi terzi”, denuncia Langhammer.

Per questo motivo il ministero tedesco dell’economia sostiene che gli europei cercheranno di mantenere aperto l’accordo all’adesione di altri paesi. Tuttavia è poco probabile che un accordo partorito nel dolore venga rivisto per accogliere nuovi membri – e la regola sarà  quella del prendere o lasciare.

Colpo di grazia a Doha

Il Doha round avanza a fatica e ci si può chiedere se un giorno riuscirà  a dare dei risultati. L’alleanza fra l’Unione europea e gli Stati Uniti potrebbe essere il segnale di avvio di una nuova serie di accordi commerciali bilaterali. Ogni nuovo accordo concluso non renderà  il commercio mondiale più libero, ma solo più complesso.

Jagdish Bhagwati, professore di origine indiana all’università  di Columbia a New York, è uno dei più grandi esperti mondiali di scambi commerciali. Secondo lui si corre il rischio che l’Europa perda il suo ruolo di forza motrice di un’ulteriore liberalizzazione degli scambi multilaterali. E dopo la firma di un trattato di liberalizzazione transatlantica “gli europei dovranno aumentare la vigilanza nei confronti degli interessi americani e delle loro lobby”.

Cattivi partner commerciali

Negli ultimi anni il commercio transatlantico ha mostrato una crescita spettacolare, spingendo le federazioni industriali dai due lati dell’Atlantico a fare pressione sulla classe politica per far avanzare il progetto. Tuttavia è altrove, in America latina e in Asia, che batterà  il cuore del commercio mondiale del futuro.

Langhammer teme anche che un’alleanza transatlantica sia in fin dei conti nociva per l’Europa, danneggiando le relazioni commerciali con i paesi emergenti. Un parere condiviso da Bhagwati, secondo cui da un punto di vista europeo questo progetto non è “una buona idea”. L’Europa sarebbe molto più flessibile sulle questioni commerciali degli Stati Uniti e gli europei sarebbero visti molto meglio grazie all’iniziativa Tta [Tutto tranne le armi], che permette ai paesi più poveri di beneficiare della franchigia sui diritti doganali per le esportazioni dei prodotti (a eccezione delle armi) in direzione dell’Europa.

“L’Unione europea dovrebbe lasciar perdere questo progetto, che finirebbe solo per indebolirla. In ogni caso, i paesi in via di sviluppo staranno comunque meglio senza di esso”.

Traduzione di Andrea De Ritis

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