Terzi con l’elmetto arma gli insorti siriani

by Sergio Segio | 22 Febbraio 2013 8:26

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Il giurista Curtis Doebbler: «Queste forniture belliche sono una grave violazione del diritto internazionale». Gli Usa condannati nell’86 per i contras Marinella Correggia
Il ministro italiano uscente Terzi come l’emiro del Qatar e il re dell’Arabia Saudita. In prima linea per fomentare la guerra in Siria e nel boicottare soluzioni negoziali sostenibili. Ieri al Corriere della Sera il responsabile della Farnesina ha dichiarato che ospiterà  il prossimo 28 febbraio a Roma la riunione degli «undici paesi più coinvolti nella gestione della crisi siriana» (che sarebbe una versione concentrata del gruppone dei cosiddetti «Amici della Siria» riunitosi a Parigi a fine gennaio), più la «Coalizione di Doha», opposizione che incorpora una parte degli armati).
Terzi proporrà  maggiori aiuti militari («assistenza tecnica, addestramento, formazione») ai gruppi armati dell’opposizione. Il 18 febbraio a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea aveva già  deciso di rinnovare le sanzioni commerciali e militari contro la Siria (decise nel 2011 in funzione antigovernativa), ma emendandole per fornire all’opposizione un «maggiore supporto non letale» (?) e «assistenza tecnica per la protezione dei civili» (protezione, in realtà , degli armati contro i civili, che sono vittime degli scontri e di attacchi mirati come dimostra no i cinque attentati dell’opposizione armata di ier ia Damasco).
Sarà  contento il Qatar che giorni fa ha protestato contro la posizione non abbastanza netta dall’Ue. A gennaio l’emiro Al Thani aveva chiesto un intervento militare esterno diretto, per «fermare le uccisioni». Arabia Saudita e Qatar forniscono armi che passano dai paesi confinanti con la Siria, e secondo il New York Times la maggior parte delle forniture sarebbero finite nelle mani di gruppi jihadisti. Del resto sul terreno questi non sono separabili dai gruppi più graditi a quell’Occidente che «combatte gli islamisti» in Mali e in Afghanistan.
L’Ue ha poi mantenuto ben saldo l’embargo commerciale che contribuisce ad aumentare le sofferenze del popolo siriano preso nella guerra. Una lettera delle suore trappiste siriane pubblicata su Avvenire domenica scorsa parla delle sanzioni come di un’altra guerra, «diretta da grandi potenze e grandi interessi», una guerra che ha azzerato i posti di lavoro e provocato miseria; «il popolo siriano vuole la sua libertà  e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità , e anche la vita fisica di un popolo».
Comunque l’operato della Farnesina non solo fomenta gli scontri ma sembra violare leggi italiane e internazionali. La legge italiana 185/1990 sul commercio delle armi prevede all’articolo 1 comma 6(a) che l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono vietati verso i paesi in stato di conflitto armato (come è la Siria), salvo diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare però previo parere delle Camere. Sarà  sentito davvero il nuovo Parlamento?
C’è peraltro il rischio che la legge non si applichi se il governo vuole regalare armi, perché non si tratta di vendita da ma «supporto politico».
Ma c’è il diritto internazionale. Non solo la Carta dell’Onu impone ai paesi di perseguire politiche estere di pace anziché fomentare guerre, ma la fornitura di armi e risorse a forze che combattono contro un governo riconosciuto dall’Onu, ha detto al manifesto mesi fa il giurista internazionalista Curtis Doebbler, «è illegale ed è una grave violazione del diritto internazionale. Uno stato che sostiene l’uso della violenza contro un altro stato è responsabile sulla base della legge internazionale per il danno arrecato. Si viola il dovere di non ingerenza negli affari interni di altri stati sulla base dell’articolo 2 comma 7 della Carta dell’Onu e l’astensione dall’uso della forza nell’art. 2 comma 4, uno dei principi più importanti del diritto internazionale». Qualcuno ricordi a Terzi che il 27 giugno 1986 gli Stati Uniti furono condannati dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per aver violato questi principi in Nicaragua sostenendo gli armati della contra.

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