Stéphane Hessel. ADDIO ALL’UOMO CHE DISSE AL MONDO: “INDIGNATEVI!”

by Sergio Segio | 28 Febbraio 2013 8:41

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«Mi permetta di recitarle una poesia». Nell’inverno della sua esistenza, Stéphane Hessel assaporava un’improvvisa primavera. Aveva interrotto la conversazione, alzandosi in piedi per declamare i versi de Il cimitero marino di Paul Valéry. L’amore per la poesia, combinato a una memoria prodigiosa, erano il suo vanto. Qualche conoscente lo prendeva in giro per il vezzo che esibiva spesso, preferibilmente con le signore. Eppure, in quel febbraio di due anni fa, mentre parlava di giovani e politica, guerra e coraggio, diritti umani e conformismo, aveva un’energia contagiosa, con quel sorriso infantile che solo la vecchiaia restituisce, a volte. A prima vista poteva sembrare puerile, naif. Come lo slogan Indignatevi!, e tutti quei punti esclamativi, diventati il suo marchio di fabbrica. Impegnatevi!, Vivete! Impossibile sottrarsi ai suoi ripetuti moniti a mezzo stampa.
«Finché posso camminare, parlare, capire cosa sta succedendo – spiegava – ho la responsabilità  di esercitare la mia influenza». I suoi amici raccontano che ha continuato a progettare viaggi, adunate, pamphlet fino a poco prima di morire, martedì notte, a Parigi, all’età  di novantacinque anni. Non si ricorda, in tempi recenti, un successo editoriale di tale portata: oltre cinque milioni di copie vendute in quasi cento paesi, movimenti di protesta, dagli Indignados ai ragazzi di Occupy Wall Street, che hanno usato come manifesto quel libello scritto nell’ottobre 2010, quasi per caso. L’editrice Sylvie Crossman aveva visto Hessel a una riunione di vecchi combattenti, mentre recitava il programma del Consiglio della Resistenza. Propose al diplomatico in pensione di scrivere un promemoria per i più giovani, ricordando i valori della Resistenza e la loro importanza per il presente.
Mancava un titolo. Indignez-vous! disse Crossman, fondatrice di Indigene dopo aver lasciato il lavoro di giornalista a Le Monde.
Pochi conoscevano allora l’autore, ebreo tedesco naturalizzato in Francia nel 1939, scampato per miracolo ai campi di concentramento, entrato nella Resistenza, poi diventato diplomatico, tra i promotori della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. Nel 2006 aveva scritto la sua biografia Danza con il secolo (Add editore). All’epoca, Libération fece un ritratto di lui intitolato “Il figlio di Jules e Jim”. Sua madre pittrice, Hélène, aveva infatti ispirato il personaggio del romanzo di Henri-Pierre Roché dal quale Franà§ois Truffaut trasse il film.
Ora la peccaminosa Hélène, riscoperta in vari libri, è diventata piuttosto la “mamma di Hessel” e persino Franz, il padre, traduttore di Proust in Germania e amico di Walter Benjamin, ha beneficiato del successo tardivo del figlio. Le sue opere sono state ripubblicate anche in Italia. Hessel è diventato una sorta di passepartout dal punto di vista editoriale. Ha accumulato negli ultimi tre anni di vita una bibliografia che altri avrebbero impiegato decenni a mettere insieme. Diversi pamphlet, raccolte di articoli o interviste, dialoghi a più voci, una nuova biografia (A conti fatti, o quasi, pubblicata da Bompiani) e, ovviamente, un saggio sulla sua passione per la poesia. Uno sfruttamento commerciale intensivo, e s’immaginano già  titoli postumi pronti a uscire. Dai temi dell’ecologia al disarmo nucleare, dalle primarie del partito socialista fino al ruolo delle banche: non c’è praticamente argomento che Hessel non abbia trattato, cercando di distillare in pochissimo tempo un immenso capitale di esperienza. Si concedeva a tutti, aveva inflazionato la sua immagine e il suo nome, senza timore del ridicolo. Sentiva di giocarsi tutto, ora e subito. Aveva un senso di urgenza che rendeva più convincente ogni sua parola. Gran parte dei diritti d’autore dei suoi libri sono andati in beneficenza, in particolare ai progetti filantropici sviluppati dall’associazione fondata insieme all’ex primo ministro Michel Rocard.
Molti lo hanno criticato per questo ruolo di nuovo maà®tre à  penser, qualcuno è arrivato a dire che si era inventato parte della sua avventurosa vita. È stato criticato per aver firmato una petizione in favore del boicottaggio dei prodotti israeliani, accusato di “antisemitismo”, poi difeso da alcuni intellettuali amici. «Non m’importano più le critiche – rispondeva – alla mia età  si può finalmente essere liberi». Molti gli hanno comunque riconosciuto un’onestà  intellettuale di fondo. «Un grande uomo» ha detto ieri il presidente Franà§ois Hollande. Fino all’ultimo ha continuato a rispondere a interviste, partecipare a incontri pubblici, con un’inesauribile voglia di dibattere. Ha dimostrato che si può parlare ai giovani, che la frattura generazionale, se esiste, è soprattutto tra padri e figli.
Nella sua eleganza fuori dal tempo, Hessel si è trovato a parlare di Roosevelt e nazionismo a gruppi di quindicenni incantati come nipoti davanti un nonno cantastorie. Si è candidato nella lista dei Verdi durante le elezioni europee del 2008 e poi ha guidato una mozione di minoranza all’ultimo congresso del partito socialista. Quando lo accusavano di non fare proposte, di incitare solo alla rivolta, lui tirava fuori appelli, programmi, rapporti. «E poi comunque – aggiungeva – indignarsi è il primo passo verso la ricerca di soluzioni ». Da quell’inverno 2011, altre primavere sono passate. I movimenti giovanili che hanno seguito Hessel stanno lentamente scomparendo. L’indignazione ha lasciato il posto alla rabbia.

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