Si riapre la partita sul fronte No Tav
TORINO — Adesso si balla. Lo striscione appeso alla ringhiera del balcone di una casa all’entrata di Bussoleno è nuovo di zecca. Alle altre finestre il bianco delle consuete bandiere No Tav è scurito dal tempo e dalle intemperie. Come cambiano le cose, in Italia. Quattro giorni fa la politica pensava a tutto tranne che al progetto denominato linea ad alta velocità Torino-Lione. L’annosa pratica sembrava archiviata. La manifestazione convocata in Val Susa per il prossimo 23 marzo non interessava a nessuno. Errore, e di quelli grossi.
«Abbassate le bandiere, tanto qui siamo tutti No Tav». A un altro lo avrebbero spellato. Invece i diecimila della piazza di Susa hanno eseguito. A parlare dal palco, 13 febbraio 2013, era Beppe Grillo, oggi titolare unico e indiscusso del primo partito in Italia, con il quale il Partito democratico sta cercando una faticosa intesa. La valle che resiste è casa sua, il Tav è quasi una questione privata. Il suo metaforico scalpo è il feticcio da portare in dono al suo movimento.
Adesso si balla, e non poco. Nella valle dei No Tav il movimento di Grillo ha preso percentuali quasi bulgare. Ne consegue che tra due settimane alla manifestazione in Val Susa ci saranno 163 onorevoli della Repubblica italiana che chiederanno di entrare nel cantiere di Chiomonte, da quasi due anni oggetto del contendere, e degli assalti dei militanti. L’idea e l’invio via mail degli inviti è venuta al neo onorevole Marco Scibona, nato in Svizzera, svezzato e cresciuto a Bussoleno, la capitale dei No Tav, ma è difficile non pensare al beneplacito preventivo di Grillo.
«Come tutti gli altri, neppure io avevo capito fino in fondo quel che sarebbe successo…» Non è solo la risata a essere gioviale. Scibona, 45 anni, non corrisponde proprio all’identikit del guerrigliero. Fino a 3 anni fa progettava impianti di segnalamento ferroviario, poi ha cominciato a lavorare per M5S. «In altri tempi ci saremmo accontentati di un rinvio dell’opera. Ora non più, non dopo tutti questi anni di lotta, di porte in faccia al dialogo. Basta, facciamola finita». Il progetto di legge è pronto, preparato del team legale dei No Tav. Rinuncia al progetto, senza se e senza ma.
«Mi rendo conto che è più facile uscire dal Tav che dall’Euro». L’architetto Mario Virano, presidente dell’Osservatorio sulla Torino-Lione, uomo di raccordo tra aziende coinvolte nel progetto, enti locali e governi, dice quel che tutti stanno pensando in queste ore. «Una volta passata l’emotività per l’esito del voto spero che si torni a pensare alla bontà dell’opera, ai costi che comporterebbe una rinuncia, alla figuraccia internazionale a cui andremmo incontro».
La speranza dell’architetto sembra destinata a infrangersi sulle secche dove si è arenata la nave del Pd. Ieri mattina la deputata Marina Sereni, vicepresidente dei Democratici, lo detto in modo chiaro, e con un certo entusiasmo, a un neodeputato del M5S che la incalzava. Noi siamo contro le grandi opere, anche contro la Tav. A Roma ci stanno pensando, e non poco. Sarebbero già partite telefonate esplorative ai politici locali, i più esposti sul fronte pro Tav. Si può fare, c’è sempre la scusa, o il pretesto dei soldi che mancano, per mascherare una retromarcia che produrrebbe conseguenze sanguinose. «Il riformismo è il sale della democrazia. In questo senso la vicenda del Tav è paradigmatica, rappresenta una autentica sfida democratica». Scolpito nel marmo, o quasi. Pier Luigi Bersani, introduzione al libro Sì Tav del senatore Pd Stefano Esposito e dell’ingegnere Paolo Foietta.
L’avamposto del Pd piemontese non crede che le sofferenze e gli strazi di questi anni possano essere merce di scambio. Non solo Esposito, diventato volto e simbolo della lotta Sì Tav, troppo spesso mandato avanti a coprire il silenzio degli altri su un tema così delicato. «So che qualcuno ci sta pensando. Ma se dovessimo arrivare a questo, sarebbe evidente che il Pd non è più il mio partito». Antonio Boccuzzi, l’operaio della Thyssen rieletto deputato: «C’è un limite a tutto. Con M5S si può discutere sulle cose da fare, non su quelle da non fare. Non mi sembra serio». Paola Bragantini, ex segretaria provinciale, neo deputata: «Non credo che arriveranno a chiederci questo. I lavori, comunque, stanno procedendo».
Il costo eventuale di una rinuncia, ecco il prossimo ostacolo. Ltf, la società che gestisce il cantiere, stima che tra rimborso dei fondi europei e penali da pagare alla Francia si arriverebbe a 1,6 miliardi di euro. I No Tav ribattono che l’unica penale in essere è quella per il vecchio cantiere da Venaus, 30 milioni alla Cmc di Ravenna. Ma già il fatto che se ne parli è emblematico. Scibona taglia corto: «Il costo dei danni ambientali del Tav è superiore a qualunque cifra». Il prossimo 23 marzo potrebbe prendere una piega surreale, o da incubo, con 163 parlamentari che chiedono di entrare nel cantiere, ne hanno diritto, e lo occupano dall’interno. Scibona assicura sonni sereni. «Da militante lo farei, da politico mi sembrerebbe una sconfitta». Pausa. Un’ultima risata. «Quando sei vicino alla vittoria non bisogna fare errori». Nel caso ci fossero dubbi, si riferisce ai No Tav, non al Pd.
Marco Imarisio
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