Sesso e carriera i ricatti in Vaticano dietro la rinuncia di Benedetto XVI

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La zizzania. I pesci cattivi. Le “strutture del peccato”. È giovedì 11 ottobre, Santa Maria Desolata. È il giorno in cui la Chiesa fa memoria di papa Giovanni XXIII, cinquant’anni dal principio del Concilio. Benedetto XVI si affaccia al balcone e ai ragazzi dell’Azione cattolica raccolti in piazza dice così: «Cinquant’anni fa ero come voi in questa piazza, con gli occhi rivolti verso l’alto a guardare e ascoltare le parole piene di poesia e di bontà  del Papa. Eravamo, allora, felici. Pieni di entusiasmo, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa». Breve pausa. Eravamo felici, al passato. «Oggi la gioia è più sobria, è umile. In cinquant’anni abbiamo imparato che la fragilità  umana è presente anche nella Chiesa». Che c’è la zizzania, ci sono i pesci cattivi.
Nessuno ha capito, in quel pomeriggio di ottobre. I ragazzi in piazza hanno applaudito e pianto il ricordo di papa Giovanni. Nessuno sapeva che due giorni prima Benedetto XVI aveva di nuovo incontrato il cardinale Julian Herranz, 83 anni, lo spagnolo dell’Opus Dei da lui incaricato di presiedere la commissione d’indagine su quello che i giornali chiamano Vatileaks. Il corvo, la fuga di notizie, le carte rubate dall’appartamento del Papa. Herranz ha aggiornato Ratzinger con regolarità . Ogni settimana, in colloquio riservato, da aprile a dicembre. Il Papa ha appreso con crescente apprensione gli sviluppi dell’inchiesta: decine e decine di interviste a prelati, porporati, laici. In Italia e all’estero. Decine e decine di verbali riletti e sottoscritti dagli intervistati. Le stesse domande per tutti, dapprima, poi interviste libere. Controlli incrociati. Verifiche. Un quadro da cui veniva emergendo una rete di lobby che i tre cardinali hanno diviso per provenienza di congregazione religiosa, per origine geografica. I salesiani, i gesuiti. I liguri, i lombardi. Infine, quel giorno di ottobre, il passaggio più scabroso. Una rete trasversale accomunata dall’orientamento sessuale. Per la prima volta la parola omosessualità  è stata pronunciata, letta a voce alta da un testo scritto, nell’appartamento di Ratzinger. Per la prima volta è stata scandita, sebbene in latino, la parola ricatto: «influentiam», Sua Santità . Impropriam influentiam.
17 dicembre 2012, San Lazzaro. I tre cardinali consegnano nelle mani del Pontefice il risultato del loro lavoro. Sono due tomi di quasi 300 pagine. Due cartelle rigide rilegate in rosso, senza intestazione. Sotto “segreto pontificio”, sono custodite nella cassaforte dell’appartamento di Ratzinger. Le conosce soltanto, oltre a Lui, chi le ha scritte. Contengono una mappa esatta della zizzania e dei pesci cattivi. Le «divisioni nel corpo ecclesiale che deturpano il volto della Chiesa», dirà  il Papa quasi due mesi dopo nell’Omelia delle Ceneri. È quel giorno, con quelle carte sul tavolo, che Benedetto XVl prende la decisione tanto a lungo meditata. È in quella settimana che incontra il suo biografo, Peter Seewald, e poche ore dopo aver ricevuto i tre cardinali gli dice «sono anziano, basta ciò che ho fatto». Quasi le stesse parole, in quell’intervista poi pubblicata su Focus, che dirà  a febbraio al concistoro per i martiri di Otranto: “»Ingravescente aetate». «Noi siamo un Papa anziano», aveva già  allargato le braccia molte volte, negli ultimi mesi, in colloqui riservati.
Dunque nella settimana prima di Natale il Papa prende la sua decisione. Con queste parole la commenta il cardinale Salvatore De Giorgi, un altro dei tre inquisitori che redigono la “Relationem”, presente al momento della rinuncia: «Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza. Lo ha fatto per il bene della Chiesa. Ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità  o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini. Il Pontefice ha visto i problemi e li ha affrontati con un’iniziativa tanto inedita quanto lungimirante». Ha assunto su di sé la croce, insomma. Non ne è sceso, al contrario. Ma chi sono «coloro che si ritengono insostituibili?». Riecheggiano le parole dell’Angelus di domenica scorsa: bisogna «smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi».
La “Relationem” ora è lì. Benedetto XVI la consegnerà  nelle mani del prossimo Papa, che dovrà  essere abbastanza forte, e giovane, e «santo» – ha auspicato – per affrontare l’immane lavoro che lo attende. È disegnata, in quelle pagine, una geografia di «improprie influenze» che un uomo molto vicino a chi le ha redatte descrive così: «Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento». Non commettere atti impuri. Non rubare. La credibilità  della Chiesa uscirebbe distrutta dall’evidenza che i suoi stessi membri violano il dettato originario. Questi due punti, in specie. Vediamo il sesto comandamento, atti impuri. La Relazione è esplicita. Alcuni alti prelati subiscono «l’influenza esterna» – noi diremmo il ricatto – di laici a cui sono legati da vincoli di “natura mondana”. Sono quasi le stesse parole che aveva utilizzato monsignor Attilio Nicora, allora ai vertici dello Ior, nella lettera rubata dalle segrete stanze al principio del 2012: quella lettera poi pubblicata colma di omissis a coprire nomi. Molti di quei nomi e di quelle circostanze riaffiorano nella Relazione. Da vicende remote, come quella di monsignor Tommaso Stenico sospeso dopo un’intervista andata in onda su La 7 in cui raccontava di incontri sessuali avvenuti in Vaticano. Riemerge la vicenda dei coristi di cui amava circondarsi il Gentiluomo di sua Santità  Angelo Balducci, agli atti di un’inchiesta giudiziaria. I luoghi degli incontri. Una villa fuori Roma. Una sauna al Quarto Miglio. Un centro estetico in centro. Le stanze vaticane stesse. Una residenza universitaria in via di Trasone data in affitto ad un ente privato e reclamata indietro dal Segretario di Stato Bertone, residenza abitualmente utilizzata come domicilio romano da un arcivescovo veronese. Si fa menzione del centro “Priscilla”, che persino da ritagli di stampa risulta essere riconducibile a Marco Simeon, il giovane sanremese oggi ai vertici della Rai e già  indicato da monsignor Viganò come l’autore delle note anonime a suo carico. Circostanze smentite dai protagonisti sui giornali, ma approfondite e riprese dalla Relazione con dovizia di dettagli.
I tre cardinali hanno continuato a lavorare anche oltre il 17 dicembre scorso. Sono arrivati fino alle ultime vicende che riguardano lo Ior – qui si passa al settimo comandamento – ascoltando gli uomini su cui confida Tarcisio Bertone a partire dal suo braccio destro, il potentissimo monsignor Ettore Balestrero, genovese, classe 1966. Sono arrivati fino alla nomina del giovane René Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità  finanziaria dell’Istituto.
Il terzo dei cardinali inquirenti, Josef Tomko, è il più anziano e dunque il più influente della triade. Ratzinger lo ha richiamato in servizio a 88 anni. Slovacco, era stato con Woijtyla a capo del controspionaggio vaticano. Aveva seguito di persona la spinosa questione dei contributi anche economici alla causa polacca come delegato ai rapporti con l’Europa orientale. Dopo monsignor Luigi Poggi, scomparso nel 2010, è l’ultimo custode di quella che ancora oggi si chiama l’Entità , il “Sodalitium pianum” di antica memoria, il servizio segreto vaticano formalmente smantellato da Benedetto XV, nel nome predecessore di Ratzinger. Poiché i simboli e i gesti, a San Pietro, contano assai più delle parole chi è molto addentro alle liturgie vaticane fa notare questo. Nell’ultimo giorno del suo pontificato, Benedetto XVI riceverà  i tre cardinali estensori della Relationem in udienza privata. Subito dopo, al fianco di Tomko, vedrà  i vescovi e i fedeli slovacchi in Santa Maria Maggiore. La sua ultima udienza pubblica. 27 febbraio, San Procopio il Decapolita, confessore. Poi il conclave.

(1-continua)


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