Sel e Rivoluzione civile, le radici della divisione

by Sergio Segio | 7 Febbraio 2013 8:06

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Hanno condiviso lotte, amori, botte, vittorie e delusioni, eppure sui social network si offendono ferocemente: sono i simpatizzanti di Sel e di Rivoluzione Civile. Il senso del limite e l’autocritica sono banditi, come se, all’improvviso, non si riconoscessero più com-pagni (cum panis: colui con cui si divide il pane). Colpa anche dei loro leader che sui giornali e nei talk-show si accusano reciprocamente di inutilità , se non di convergenza con l’avversario.
Anche noi abbiamo una storia in comune. Negli ultimi due anni abbiamo ragionato insieme nel collettivo Riprendiamoci la politica e condiviso l’impegno per portare nell’esperienza di Sel una critica della politica, un modello di partecipazione e un’ipotesi di autonomia politica. Oggi invece ci troviamo in collocazioni diverse e questo è avvenuto con conflitti che hanno segnato una nuova fase della relazione politica tra noi. Uno ha mantenuto il proprio impegno in Sel, l’altra si era appassionata a Cambiare si può e oggi partecipa al Comitato civico di sostegno alla candidatura indipendente di Sandro Medici a sindaco di Roma.
Ma abbiamo lo stesso obiettivo: portare donne e uomini in Parlamento per dare voce e prospettiva a bisogni e lotte non ascoltati.
Non vogliamo appellarci al «vogliamoci bene» né porre una mera questione di stile o di diplomazia, ma ci interessa sollecitare un ragionamento sulla prospettiva politica.
Consideriamo la polemica tra Sel e Rivoluzione Civile segno di autolesionismo nella peggiore tradizione della sinistra. Pensare di conquistare voti denigrando le altre forze è sintomo di debolezza delle proprie ragioni. L’obiettivo comune dovrebbe essere, piuttosto, la costruzione di una soggettività  politica ampia e plurale, che vada assai al di là  dei limiti dei due raggruppamenti – quotati attorno al 4% – e la messa in relazione di intelligenze, linguaggi e pratiche sociali.
Cinque lunghi anni di assenza dal Parlamento non sembrano averci insegnato molto. La presunzione di autosufficienza, la denigrazione reciproca e la retorica del tradimento non ci aiuterà  a vincere sull’estensionismo né a riportare al voto la sleeping sinistra, né ad arginare l’emorragia dell’antipolitica.
Da una parte Rivoluzione Civile non ha saputo raccogliere la sfida di una trasformazione profonda, lanciata dall’appello e dalle assemblee di Cambiare si può. Chi sognava processi trasparenti di selezione delle candidature si è svegliato di colpo e aveva contestato le derive personalistiche si è trovato ad inseguire la scorciatoia dell’indicazione del nome del leader nel simbolo.
Dall’altra parte Sel è attraversata da mesi da un diffuso disagio. Chi era insoddisfatto della qualità  dei processi partecipativi e decisionali lo è sempre di più perché questa incrina la credibilità  e l’autorevolezza della proposta politica.
Questi due raggruppamenti non hanno bisogno di auspicare uno la sconfitta dell’altro: per scongiurare che il centrosinistra vada all’accordo con Monti è bene augurarsi due forze di sinistra forti, dentro e fuori la coalizione. Se il dopovoto fosse scontato, sia la sinistra all’interno di una coalizione di governo sia una pattuglia di sinistra all’opposizione sarebbero condannati ad una cocente sconfitta.
Le continue oscillazioni e ambiguità  del gruppo dirigente del Pd, che vanno dalla polemica all’ipotesi di collaborazione con Monti, ci suggeriscono che sarà  decisivo il risultato elettorale e i rapporti di forza che esso determinerà .
Chi nel centrosinistra si batte per un suo profilo innovativo e non subalterno, chi vuole che dopo il voto la coalizione guardi non alla sua destra ma ai movimenti sociali, chi vorrebbe proporre una lettura diversa della crisi è interessato a poter avere come interlocutore, domani, una forza a sinistra.
Anche nella divisione dei due raggruppamenti in aree distinte – una per la sfida del governo e una per l’autonomia della sinistra – ci sono possibili obiettivi condivisi. Alcuni sono immediati: lo spostamento a sinistra dei rapporti di forza, l’allontanamento dalle politiche montiane, la rottura del tabù dei vincoli europei al posto del definitivo smantellamento dello stato sociale.
Poi resta la necessità  di ripensare il rapporto tra politica e rappresentanza, il dominio dell’economia sulla politica, la sperimentazione di forme di democrazia diretta e autogoverno che superino la frammentazione sociale, la crisi delle forme politiche, la difficoltà  a conciliare i tempi della vita e della precarietà  con quelli dell’impegno politico. Queste sono grandi questioni che richiedono uno sguardo lungo e che solo un’ampia e articolata soggettività  di sinistra può raccogliere e affrontare in modi che sono tutti da inventare.
Ad esempio, per scongiurare che il centrosinistra vada all’accordo con Monti è bene augurarsi due forze di sinistra forti, dentro e fuori la coalizione.
Per il quarto polo è indifferente quali saranno i rapporti di forza? Se il centrosinistra avrà  la maggioranza o meno. Se nella coalizione la sinistra sarà  più o meno consistente?
Ha senso dare questo esito come scontato? Se così fosse sarebbero condannati ad una cocente sconfitta sia la sinistra all’interno di una coalizione di governo con quelle caratteristiche, sia una pattuglia di sinistra condannata ad un’opposizione marginale. Oltre a essere sconfitte le sinistre, sia detto per inciso, sarebbero gravi le conseguenza per le condizioni di vita reali delle persone.
Se vogliamo riconoscere uno spazio alla politica dobbiamo riconoscere che l’esito di questa vicenda non è scritto e dipende dai rapporti di forza che si determineranno. La stessa polemica sulla carta d’intenti e sulle dichiarazioni di Bersani sul rapporto con il centro appare sterile: sono evidenti le ambiguità  nelle posizioni del gruppo dirigente del Pd, anche se la radicalizzazione della polemica elettorale ha reso più difficile un’alleanza indolore con Monti. Ed è evidente che la carta d’intenti viene letta in modi diversi. Ma proprio questo dice che a determinare l’orientamento sarà  il risultato elettorale e i rapporti di forza che determinerà .
E chi nel centrosinistra si batte per un suo profilo innovativo e non subalterno, che vuole che dopo il voto la coalizione non guardi alla sua destra ma sia capace di ascoltare movimenti sociali e proporre una diversa lettura della crisi è interessato a poter avere domani come interlocutore una forza a sinistra? L’indisponibilità  a un rapporto con il quarto polo è frutto di un’ansia di accreditamento del Pd e dal fantasma del fallimento delle coalizioni di centrosinistra precedenti. Lo spettro della desistenza ancora pesa.
Non si può chiedere al quarto polo una desistenza per permettere una sconfitta della destra al Senato o per evitare lo stallo in cui crescerebbe il potere di condizionamento del centro senza riconoscere e proporre su questo una convergenza, senza rompere un’ambiguità .
Una nota vignetta di Altan diceva pressappoco «siamo passati da: uniti si vince» a «uniti avremmo potuto vincere». Oggi siamo divisi, vorremmo evitare di trovarci domani insieme a recriminare sulle ragioni di una sconfitta.
* Sel Roma
** Cambiare si può, Roma

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