Se ne va il «papà » nonviolento dei combattenti per la libertà 

by Sergio Segio | 14 Febbraio 2013 9:14

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Aveva da poco compiuto cento anni Sankaralingham Jagannathan («Appa», papà ), morto il 12 febbraio alla «Dimora dei lavoratori» nell’università  rurale Gandhigram, stato indiano meridionale del Tamil Nadu.
Grande seguace di Gandhi ha percorso l’India nello spazio e nel tempo a partire dagli anni 1940 insieme alla moglie Krishnammal («Amma», mamma), del 1926, tuttora attivissima. Lui era nato benestante di casta alta, lei intoccabile e povera: per la feroce tradizione indù non avrebbero nemmeno dovuto sfiorarsi. Prima militarono come freedom fighters nonviolenti a fianco del mahatma Gandhi nel Quit India Movement, la lotta di massa per l’indipendenza, poi si dedicarono all’impegno nonviolento per i senzaterra che costò ad Appa altro carcere. Non ebbero mai una casa loro, vissero in diversi ashram, dimore comunitarie, dove Appa ogni alba filava per un’ora all’arcolaio i suoi abiti di cotone e Amma cucinava con semplicità  vegetariana.
Per rendere produttivi i quattro milioni di acri che i poveri avevano ottenuto in seguito all’appello al Bhoodan (dono della terra), Jagannathan creò il movimento Assefa per l’autosufficienza dei villaggi gandhiani.
Nel 1968 quarantadue donne e bambini senzaterra in sciopero vengono rinchiusi e bruciati vivi da ricchi possidenti nel distretto di Tanjavur. Amma e Appa decidono di concentrare là  il loro lavoro sulla terra e per la terra. Nasce il movimento Lafti: «Terra per la liberazione dei braccianti». Con scioperi, marce, raduni, digiuni e petizioni; vincendo anche ostacoli burocratici, tredicimila famiglie ottengono infine altrettanti acri da coltivare. Parallelamente il Lafti opera per lo sviluppo dei villaggi, con attività  edili di autocostruzione, artigianali, educative.
Nel 1993 le comunità  costiere del Tamil Nadu dove lavorano Amma e Appa subiscono l’aggressione dei nuovi latifondisti, i grossi imprenditori del gamberetto per l’esportazione. Risaie salinizzate e mangrovie distrutte.
Jagannathan ricorre alla Corte Suprema dell’India che nel 1996 vieta l’acquacoltura intensiva entro i 500 metri dalla costa. Ma la distruzione non si ferma, in un’India ben diversa dal sogno di Appa.
Come l’economista gandhiano J.C. Kumarappa, Jagannathan sosteneva un’economia di villaggio egualitaria basata su agricoltura, artigianato e «lavoro per il pane». Il volto locale di un’India che doveva essere autonoma, pacifica, resistente contro l’imperialismo.

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