Se la sinistra ha paura di governare

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Mancano poco meno di due settimane alle elezioni nazionali e si deve sperare (!?), ma anche fare quanto ancora è possibile perché non si arrivi al peggio (cui non c’è mai limite) e non si pregiudichi ulteriormente un successivo cambiamento di rotta.
Un po’ più di tempo ci separa invece da un altro importante appuntamento elettorale, quello per il sindaco di Roma, che più verosimilmente durerà  in carica per l’intero mandato, e c’è qualche spazio in più per non ripetere gli errori fatti alle politiche; occorre dunque cominciare a pensarci da subito, anche in chiave di “laboratorio” per l’inversione di rotta a livello nazionale.
Al peggioramento delle prospettive per la futura maggioranza stanno contribuendo due cause che si rafforzano l’una con l’altra. La prima è nella posizione secondo cui, pure conquistando il 51%, la coalizione di centrosinistra dovrebbe ragionare come se avesse il 49% e, dunque, cercare comunque un’alleanza con Monti. In primo luogo, questa posizione esprime la presenza nel Pd di una diffusa (per quanto non maggioritaria) condivisione dell’agenda Monti che, tuttavia, è contraddittoria rispetto a quanto occorre per un superamento progressista della crisi. In secondo luogo, quella posizione ripropone un’antica preoccupazione (figlia d’altre situazioni storiche e differenti leggi elettorali) secondo cui la sinistra per governare debba sempre essere in una maggioranza molto più larga di quanto le stesse regole democratiche richiedano.
Naturalmente, un più ampio consenso favorisce la realizzazione di un progetto politico, ma farlo divenire un vincolo di fatto costituisce anche un vulnus per le regole democratiche. Nella sostanza politica, affermare che un programma comunque dovrà  essere mediato con impostazioni anche molto diverse, anche se il risultato della competizione elettorale lo premia, implica sminuire preventivamente la credibilità  di quel progetto e la capacità  di riscuotere consenso su di esso. Nella sinistra pesano ancora i fantasmi (e nodi irrisolti) lasciati dal crollo del comunismo. Ma la più recente novità  storica segnalata dalla crisi globale è che il liberismo, dopo aver annullato il progetto keynesiano di conciliare capitalismo, democrazia e sviluppo sociale, non è stato in grado di realizzare equilibri più avanzati, e nemmeno di favorire stabilmente una crescita economica pur senza qualità ; invece, per la seconda volta in ottant’anni, ha generato una drammatica crisi globale (e dalla prima si è usciti solo con la seconda guerra mondiale). Nella sinistra dunque si fa fatica a capire la responsabilità  storica assegnatale dalla crisi per poterla superare in direzione progressiva.
La difficoltà  di assumere questa responsabilità  è in altro modo presente, in varia misura, anche nelle forze della sinistra fuori dal Pd; ciò costituisce la seconda causa che, interagendo con la prima, contribuisce a ridurre le prospettive di progresso del paese. In queste componenti della sinistra, la maggiore convinzione della necessità  di un progetto alternativo all’agenda Monti è negativamente compensata dalla sottovalutazione della complessità  che caratterizza sia la situazione esistente sia gli strumenti e le mediazioni democratiche necessari per affrontarla; ciò si traduce in inadeguatezza operativa rispetto ai propri obiettivi e in una carente capacità  di governo immediatamente percepita dall’opinione pubblica e penalizzata anche elettoralmente. Tra le forze che attualmente rappresentano la sinistra fuori dal Pd (ma tante istanze di sinistra fanno fatica a trovare una rappresentanza convincente) c’è chi teme che in un’alleanza di governo con il centrosinistra vengano snaturate le proprie posizioni ideali; tuttavia non realizzano che stanno riducendo maggiormente la loro possibilità  d’influenza dividendosi e dilaniandosi, e facendolo non su contenuti e proposte, ma su questioni che sono incomprensibili ai più, trovando origine in dispute d’identità , tatticismi e logiche minoritarie lontane dalle problematiche storiche che stiamo affrontando.
La complementarietà  di queste due cause negative esistenti nelle rappresentanze del centrosinistra e della sinistra e i contrasti che ne derivano fanno sì che non si riesca a tener conto nemmeno delle tecnicalità  della legge elettorale esistente e dei possibili accordi di mutuo interesse. Per quanto è ancora possibile, sarebbe auspicabile una resipiscenza che consenta di massimizzare i parlamentari eletti di centrosinistra e di sinistra e di minimizzare le possibilità  di condizionamento dell’agenda Monti, se non del berlusconismo. Ma soprattutto occorre dare segnali d’inversione di questa china deleteria per tutti.
Margini di tempo maggiori ci sono per le elezioni comunali che si svolgeranno a Roma il 26-27 maggio (primo turno) e saranno precedute dalle primarie del centrosinistra. Purtroppo anche in ambito romano, nel centrosinistra e nella sinistra si stanno riproducendo frammentazioni e contrapposizioni deleterie ispirate da visioni politiche convenzionali e inadeguate ai problemi posti dalla crisi, da logiche minoritarie e da opportunismi personali e di apparato. Invece a Roma è necessario mettere in campo un progetto politico ambizioso, concreto e coinvolgente, che oltre a determinare una cesura netta con la disastrosa amministrazione Alemanno e a migliorare la vivibilità  cittadina, tragga insegnamento proprio dalla crisi per realizzare un’efficace svolta economica, sociale e culturale. Ad esempio, la crisi ha colpito particolarmente l’attività  produttiva e l’occupazione nell’amministrazione pubblica centrale, nell’edilizia e nel settore bancario; tre settori tradizionalmente importanti nell’economia romana sui quali, però, non si potrà  contare come in passato. Occorreranno politiche innovative che, ad esempio, valorizzino i settori della ricerca, dell’istruzione e della formazione, i poli dell’ industriale e del terziario avanzati. Particolare attenzione andrà  rivolta agli immensi e prestigiosi “giacimenti culturali e artistici”, alla loro fruibilità  e, dunque, al turismo con l’implicazione di intervenire sulla politica dei trasporti non solo locale, ma estesa ai collegamenti nazionali e internazionali (per capirci, la questione Alitalia non ha solo una dimensione aziendale).
Occorre definire un programma concreto e ambizioso, e individuare chi possa realizzarlo. Attualmente, dal Pd sono già  emerse diverse candidature e altre se ne prevedono; ciò non è strano, considerata la pluralità  di componenti, di centro e di sinistra, presenti in quel partito. Ciò che è del tutto ingiustificata, incomprensibile e autolesionistica è la molteplicità  di candidature emerse nella sinistra. Infatti, proprio la fisiologica molteplicità  di candidati del Pd consentirebbe ad uno e un solo candidato delle altre forze della sinistra – che, peraltro, hanno posizioni abbastanza omogenee sui contenuti e sulle alleanza possibili – di essere competitivo prima alle primarie e poi per l’elezione a sindaco. Ma a tal fine, oltre a concordare una sola candidatura della sinistra, è necessario che nell’intera coalizione di centrosinistra-sinistra siano battute la “paura di vincere”, la tendenza a privilegiare la testimonianza e gli opportunismi personali e di apparato; cioè occorre dimostrare all’opinione pubblica di avere responsabilità  di governo e la capacità  di realizzare i progetti di cambiamento necessari.


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