Scaroni indagato per Saipem «Noi totalmente estranei»
MILANO — Una valigia di segreti e un superteste interno all’Eni, nell’inchiesta sulle commesse per 11 miliardi di dollari acquisite da Saipem in Algeria dietro il contestato pagamento di 198 milioni di euro di tangenti tra il 2006 e il 2010, investono ieri anche l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni: cioè proprio colui che la sera del 5 dicembre aveva voluto fare piazza pulita degli allora nemmeno ancora indagati Pietro Franco Tali (ad di Saipem), Alessandro Bernini (direttore finanziario Eni, in Saipem fino al 2008) e Pietro Varone (top manager Saipem).
Scaroni è indagato per l’ipotesi di corruzione internazionale ed è stato perquisito fino a sera dalla Guardia di Finanza di Milano che in ufficio e a casa ha sequestrato tutta la sua posta elettronica, nelle ore in cui Eni (che riafferma «completa estraneità alle indagini») e Saipem venivano pure indagate in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti, e Eni perdeva il 4,6% in Borsa.
La valigia è un trolley di cui il primo dicembre scorso gli investigatori percepiscono l’urgenza di recupero, da parte di Varone, in una casa di Milano: quando gli inquirenti vi arrivano, la valigia non c’è già più ma un romanzesco inseguimento a distanza fa sì che, tramite la Polfer, venga bloccata alla stazione ferroviaria di Roma in mano a una parente della moglie separata di Varone. Per i pm De Pasquale-Spadaro-Baggio è una miniera: dentro, infatti, ci sono carte che mostrano come un algerino di nazionalità francese, il 43enne Farid Noureddine Bedjaoui, nipote dell’ex ministro degli Esteri, sia socio del dirigente Saipem in una tenuta agricola e intestatario di un conto insieme alla moglie del manager.
In più c’è un indagato ex dirigente del cane a sei zampe che aiuta gli inquirenti dall’interno e, combinato al contenuto della valigia, consente ai pm di capire che c’è proprio Bedjaoui dietro una assai particolare società di Hong Kong. «Presentato come il tramite per poter influire sul comportamento delle autorità algerine, e in particolare del ministro dell’Energia Chekib Khelil, al fine di ottenere l’assegnazione dei contratti a Saipem da parte dell’ente statale Sonatrach», Bedjaoui opera dunque dietro la semisconosciuta «Pearl Partners Itd» di Hong Kong che dalla Saipem e dalle sue controllate riceve in 7 versamenti appunto 197.934.798 euro. Per cosa?
In teoria, stando a quanto Varone nel 2007 aveva prospettato a Snamprogetti, il teorico rappresentante della «Pearl Partners Itd» era Samyr Ouraied, «un agente ben conosciuto nel contesto commerciale dell’Algeria», insomma un intermediario fondamentale per Saipem per assicurarsi otto commesse, tra cui quella relativa al progetto di un gasdotto Algeria-Europa Medgaz.
Ma l’incrocio tra le indagini e la valigia fanno pensare ai pm tutt’altra storia: l’intermediazione è troppo alta, 198 milioni; viene pagata da Saipem a una società di Hong Kong su conti negli Emirati Arabi e a Dubai, con prassi fuori dalle linee guida di Saipem; e, soprattutto, il vero dominus della società di Hong Kong, Bedjaoui, ora appare da un lato in affari con un dirigente Saipem, e dall’altro è vicinissimo al ministro dell’Energia algerino. Per i pm è «la persona che si occupava di distribuire il denaro versato da Saipem a titolo di corruzione nell’establishment algerino», dove c’è già stata una inchiesta che ha portato alle dimissioni il presidente dell’ente statale e sfiorato un ex ministro. Ed è sempre Bedjoui a essere presente in un albergo di Parigi dove insieme al ministro Khelil incontra Scaroni e l’allora responsabile Eni per il Nordafrica, Antonio Vella. Come pure per i pm è lui a trattare, stavolta all’Hotel Bulgari di Milano con Varone e Bernini, «ulteriori versamenti corruttivi corrisposti da subcontrattisti di Saipem».
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