by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 7:49
SANREMO. SI ERA montato alla vigilia di questo Sanremo elettorale un bel caso politico all’italiana.
Un caso con tanto di complotto delle ugole rosse, l’ultimo e il più scemo dei tanti denunciati da Berlusconi. Poi s’è dimesso il papa e tutto si è ridimensionato. Ma alla fine un caso bisognava crearlo per forza e l’hanno creato, probabilmente ad arte, con l’ennesima furbata di questa campagna elettorale. La contestazione a Maurizio Crozza da parte di qualche fedelissimo berluscones infilato nel pubblico dell’Ariston («due soliti noti», ha detto Fazio, o forse qualcuno di più) pare una trovata da copione. Il povero Crozza c’è rimasto male, con tutta la fatica che aveva fatto per non risparmiare nessuno dei contendenti nello spazio dei quaranta minuti, come avrebbe poi dimostrato. Anche un bel pezzo di pubblico ha contestato il contestatore, ma intanto il piccolo evento viaggiava già su YouTube.
È destino che questa campagna elettorale brutta, sporca e cattiva più del solito non risparmi niente e nessuno. Neppure l’istituzione somma dell’Italia bonaria e canterina. Insomma Sanremo è soltanto Sanremo, la vacanza televisiva preferita dagli italiani. Quest’anno con un elemento di sollievo in più, nel mezzo di una rissa estenuante. Dal festival ci si aspettava non che dicesse qualcosa di sinistra, ma qualcosa di civile. E così è stato. A cominciare dall’incipit verdiano con il coro dal
Nabucco, fino all’irruzione della satira politicamente correttissima del «comunista» Crozza.
Sanremo è rimasto quello. È il costume nazione intorno a essere peggiorato. Un tempo si veniva qui a irridere l’Italietta con la rima baciata e l’autoradio in mano, oggi Toto Cutugno sul palco con il coro dell’Armata Rossa pare un gigante di stile e ironia rispetto alle macchiette italiote in giro per comizi elettorali e per salotti di talk show. Le stesse maschere di leader composte da Maurizio Crozza paiono un abbellimento generoso degli originali. È quasi un peccato che un talento comico di tale livello debba misurarsi con soggetti tanto grevi. Ma il Berlusconi chansonnier manigoldo e cialtrone della sua entrata in scena, imparentato con l’istrionica criminalità di un Mackie Messer, è più fascinoso e sincero di quello vero, confinato al repertorio di battute triviali da sceneggiatura dei fratelli Vanzina. Così la lingua e le metafore surreal popolari del Bersani-Crozza suonano più accattivanti di quelle usate dal vero leader del Pd, ormai costretto a imitare l’imitazione per risultare più riconoscibile e simpatico. Mario Monti con la voce e la sfera emotiva di un bancomat risulta comunque più serio dell’altro che si presenta col cagnolino acchiappavoti in braccio al salotto di Daria Bignardi. Per non dire di quanto il meraviglioso disagio dell’Ingroia-Crozza, gravato da una millenaria indolenza, mista a noia e incredulo sgomento per l’ambiente circostante, risulti in definitiva più credibile ed empatico dell’ex magistrato già ben calato nella parte e nei trucchi del nuovo mestiere.
È un vecchio problema della satira. Quando il bersaglio si abbassa di troppo sotto la linea del tiro, la caricatura finisce per favorire la vittima presunta. Non sappiamo se Crozza l’abbia capito, ma Berlusconi di sicuro sì. Il vero dramma per il Cavaliere, e non soltanto per lui, non è che il festival si occupi di politica in piena campagna elettorale, ma piuttosto che non lo faccia. La campagna elettorale rischia già di essere finita con il gesto di Joseph Ratzinger. Manca una settimana di svago festivaliero per calare la pietra tombale sulle speranze di rimonta affidate a mirabolanti promesse, trovate di giornata, promesse dell’ultima ora. Non è Sanremo ad aver bisogno della politica, ma la politica, quella peggiore, ad aver bisogno della passerella del festival. Tanto che un giorno sì e l’altro pure arriva una minaccia d’invasione di campo. L’altro ieri si temeva l’irrompere di Beppe Grillo, ieri s’era sparsa all’improvviso la certezza di una visita del Cavaliere. Dicono che fosse tutto pronto, ma poi sono troppo furbi per presentarsi davanti all’Ariston senza un pretesto. Hanno così deciso di mandare soltanto qualche comparsa per disturbare lo show. Ma se soltanto gliene offrissero uno dal palco si precipiterebbero qui senza esitazioni, con i panni della vittima. Sono a casa davanti alla televisione, in trepida attesa. Per fortuna a casa a guardare Sanremo ci sono anche una dozzina di milioni almeno d’italiani che vorrebbero trovare requie da un gioco polemico estenuante, riconoscersi in un’Italia piccola e leggera, ma almeno onesta, decente, non volgare.
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