Sanità , voli, parchi, difesa gli Usa sono a rischio paralisi

by Sergio Segio | 25 Febbraio 2013 8:16

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NEW YORK — Il conto alla rovescia è cominciato. Allo scoccare del primo marzo l’America si troverà  di fronte a una maxi-serrata di servizi pubblici. Chiuderanno vari aeroporti e tutti i voli subiranno ritardi. Le sequoie giganti di Yosemite rimarranno senza una protezione adeguata e così tutti i parchi nazionali. Il Pentagono ridurrà  orari e stipendi di 800mila dipendenti. Saranno bloccate molte ispezioni sulla carne. E sarà  persino sospesa la lotta contro l’epidemia di tubercolosi a Los Angeles.
Questo scenario drammatico, evocato ieri dalla Casa Bianca con toni quasi apocalittici, è il risultato del mancato accordo sul bilancio tra repubblicani e democratici. Tra meno di quattro giorni, se non ci sarà  un compromesso che per il momento appare improbabile, scatteranno tagli automatici alla spesa federale per 85 miliardi di dollari: con conseguenze immediate sulla difesa e la sanità , sui controllori di voli e sui bilanci dei 50 Stati; e con ripercussioni poi su tutta l’economia. «I tagli automatici — avvertono gli analisti di Wall Street — rischiano di bloccare la timida ripresa in atto e riaprire le porte alla recessione». Già  la settimana scorsa la guerra del bilancio a Washington aveva determinato il calo più brusco dell’indice Dow Jones dall’inizio dell’anno.
«Anche i nostri generali sono preoccupati per gli effetti devastanti sulle forze armate», ha ammonito ieri l’ex candidato repubblicano alla Casa Bianca, John Mc-Cain, sollecitando l’ex-avversario e ora presidente, Barack Obama, a convocare subito una “Camp David sul bilancio”. Il riferimento al luogo-simbolo della pace Egitto-Israele e della diplomazia presidenziale la dice lunga, non solo sulla ampiezza della posta in gioco, ma anche sulle crescenti preoccupazioni dei repubblicani di essere additati come i responsabili dei colpi di scure ai servizi pubblici.
In realtà , questa del sequester, come viene chiamata la minaccia dei tagli automatici per 85 miliardi, è una crisi che la politica americana si è autoinflitta e il cui racconto sta diventando quasi un “giallo”. Di fronte alla necessità  â€” condivisa da tutti — di colmare il baratro del debito pubblico (ed evitare una retrocessione nel
rating), la maggioranza repubblicana alla Camera ha puntato sempre allo smantellamento dei programmi assistenziali, opponendosi pregiudizialmente a ogni ipotesi di rialzo delle tasse. La Casa Bianca e i democratici hanno sempre chiesto, invece, che i ceti abbienti pagassero di più e che le spese pubbliche fossero ridotte più gradualmente.
Per uscire dall’impasse, e forse per spiazzare gli avversari (come insinua Bob Woodward, il giornalista del Watergate), la Casa Bianca aveva proposto ai repubblicani la scadenza-ricatto del cioè di quei massicci tagli che nessuno vuole e la cui minaccia avrebbe convinto le due parti a trovare un accordo. La destra aveva accettato questo percorso nella convinzione che nell’accordo finale non ci sarebbero stati ritocchi al fisco. Con il tempo le posizioni si sono irrigidite. Adesso le scadenze non sono più prorogabili: il rischio- serrata si avvicina, i due partiti si scambiano accuse pesanti, e Wall Street si prepara a soffrire.

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