Sanità , ecco il libro nero

by Sergio Segio | 7 Febbraio 2013 16:32

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Ospedali che crollerebbero alla prima scossa. Prestazioni sanitarie che passano dalla norma alla vergogna nel giro di pochi chilometri. Consulenze da milioni di euro senza giustificazione. Eccellenze che chiudono e parenti che devono lasciare il lavoro per dare supporto a un familiare malato. La fotografia del Sistema sanitario nazionale fornita dal rapporto finale della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino è preoccupante. Perché racconta, seppur in sintesi, per il momento, un Paese che non garantisce come dovrebbe il diritto alla salute dei suoi cittadini. Un Paese in cui tutti i malati sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

Il toto Regioni delle prestazioni sanitarie Cercate di non rompervi un femore in Basilicata. Non è una battuta. Secondo la Commissione, l’intervento per la frattura del femore andrebbe eseguito entro due giorni, perché la tempestività  dell’operazione è fondamentale per sperare in un recupero completo. Nelle Asl lucane però avviene per meno del 20 per cento delle richieste. In Provincia di Bolzano per 8 su 10. Questa è l’Italia, e la media nazionale non fa onore: solo il 35 per cento delle operazioni viene effettuato entro due giorni dall’incidente. Ma la differenza non è solo fra Nord e Sud. In Veneto, ad esempio, si passa dal 14 all’ 85 per cento, solo spostandosi da una provincia ad un’altra. L’intervento al femore è un esempio, scelto dai senatori Fabio Rizzi e Lionello Cosentino per dare un’idea di un Paese troppo diseguale nei suoi servizi.

Non è il solo: c’è il tema dei parti cesarei, per i quali i reparti italiani di maternità  sembrano avere una tendenza smodata. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità  infatti bisognerebbe ricorrervi in meno del 15 per cento dei casi. In Campania si arriva a farlo per sei parti su dieci. Sempre la Campania è maglia nera anche sotto un altro aspetto: le dimissioni di pazienti che hanno una diagnosi medica ma non hanno subito alcuna operazione. Ovvero gli ospedali che sanno di non poter curare il loro paziente, almeno non subito, e nonostante la diagnosi lo rimandano a casa senza interventi. In Campania succede quasi a una persona a due, nelle Marche a meno di una su dieci.

Sono tanti i casi, le sfaccettature del problema. Ci sono le persone con disagio psichico, abbandonate dai servizi nel 47 per cento dei casi, in Molise, contro l’11 dell’Emilia Romagna. O ancora le radioterapie per le donne con un tumore al seno sottoposte a un intervento conservativo: in Emilia Romagna iniziano entro sei mesi la cura nella metà  dei casi, ma con differenze abissali da zone come quella di Pisa, dove non avviene che per il 4 per cento delle donne che ne avrebbero bisogno, e l’Asl di Rieti, al primo posto, con la radioterapia garantita entro i termini a nove pazienti su dieci. «Il lavoro della Commissione ha mostrato come sia possibile, e quindi doveroso», scrivono Rizzi e Cosentino: «Effettuare misurazioni scientifiche in ambito sanitario, da mettere a disposizione dei decisori politici». Insomma: che il prossimo Governo guardi ai dati, prima di fare delle scelte e decidere delle priorità .

Ospedali insicuri I
l 65 per cento degli ospedali italiani, secondo un censimento del 2001, è stato costruito prima del 1970. Ovvero prima di qualsiasi norma di costruzione antisismica. Succede così che più di 500 strutture, secondo la Commissione, avrebbero urgente bisogno di interventi per scongiurare danni, anche gravi, in caso di terremoto. «Alcuni edifici antichi però, e sottoposti per questo ai vincoli dei beni culturali», scrivono i senatori Laura Bianconi e Raffaele Calabrò, che hanno seguito questo tema: «Sono costruiti molto meglio di quelli edificati negli ultimi 50 o 60 anni». Una beffa, forse, ma che non fa ridere, se pensiamo all’Ospedale San Salvatore dell’Aquila, crollato il giorno del terremoto nonostante fosse stato costruito meno di quarant’anni fa. Quello che pesa davvero però è sapere che il 75 per cento dei presidi sanitari italiani, secondo la Protezione Civile, è a rischio, altissimo, di collasso, alla prima scossa di magnitudo superiore a sei. Il 75 per cento. Servono fondi per le ristrutturazioni. Dieci anni fa il governo aveva stanziato due milioni di euro, diretti agli ospedali situati nelle zone di massimo rischio sismico. Ma la Commissione mostra che fine hanno fatto: nel 31 per cento dei casi i lavori hanno impiegato fra i quattro e i sette anni, nel trenta anche più di otto.
Sprechi e consulenze
Le consulenze assegnate all’esterno dagli ospedali italiani valgono 790 milioni di euro l’anno. Poco, se rapportate alla spesa sanitaria complessiva, una cassa da 148 miliardi di euro, ma moltissimo se guardate al dettaglio. Quello che ha fatto la Corte dei Conti, incriminando incarichi sospetti, perché assegnati senza motivazioni precise, per attività  che potevano benissimo esser svolte all’interno o ancora non analizzate, come di dovere, alla fine della prestazione. I membri della Commissione minimizzano il problema: spesso, dicono, si ricorre alle consulenze solo per aggirare il blocco del turn over imposto dalla spending review. Ma non mancano di citare alcuni casi eccellenti, in negativo, successi negli ultimi anni. Spunta così la Lombardia, con due incarichi assegnati all’esterno per la “fattibilità  gestionale della casa della salute”. Per la Corte dei conti si tratterebbe di consulenze generiche, assegnate a persone non competenti (almeno non dal curriculum) e il cui lavoro non è stato valutato. Oppure il Lazio, per l’esternalizzazione della “verifica delle procedure d’appalto”.

Ma l’amministrazione di Renata Polverini è criticata sopratutto sotto altri aspetti. Il primo, più grave, è il drastico ridimensionamento dei rimborsi sanitari, previsto come misura necessaria per colmare il deficit in bilancio creato dalla giunta dei Batman e delle feste a tema. «Nel Lazio», dicono i membri la Commissione: «E’ a rischio la tutela della salute». Non sarà  infatti solo un’eccellenza come la Fondazione Santa Lucia di Roma a soffrire, nei prossimi mesi, per dei rimborsi non adeguati alle prestazioni: il budget della Regione è diminuito del 16 per cento, per tutti i servizi effettuati dal 2008 in poi. «Le esigenze della finanza pubblica», scrivono i senatori: «Non possono assumere un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute, come ambito inviolabile della dignità  umana». Rischio che oggi il Lazio corre.

Altro problema è l’assistenza agli anziani e ai disabili. Le 2475 strutture geriatriche italiane, che ospitano più di duecentomila persone, non sono abbastanza controllate, secondo la Commissione. Le verifiche infatti dipendono unicamente dai Nas, che nel 2010 sono riusciti a fare solo 863 visite, e nel 30 per cento dei casi hanno trovato delle irregolarità . Così fioriscono luoghi che anche se ricevono dai mille ai 4000 euro al mese di retta per ogni persona ospitata non garantiscono le attività  terapeutiche o anche solo il rispetto di minimi standard di qualità .

L’ultimo richiamo della Commissione è per l’assistenza ai malati di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). Non solo andrebbe considerata seriamente, secondo i senatori, l’opportunità  di dare nuovi finanziamenti pubblici alla ricerca della dottoressa piemontese Letizia Mazzini, che ha individuato un metodo terapeutico innovativo per la Sla usando le cellule staminali. Bisognerebbe soprattutto, scrivono, sostenere l’assistenza domiciliare dei malati. Il deficit infatti sarebbe così grave da costringere molte famiglie a rinunciare a uno stipendio per permettere a un parente di rimanere a casa col malato, visto che non ci sono fondi per garantire la presenza di un infermiere specializzato.

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