Saharawi, “il rispetto dei diritti umani rimane una chimera”

by Sergio Segio | 4 Febbraio 2013 17:27

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FIRENZE – “Il rispetto dei diritti umani nei territori del Sahara occidentale resta sostanzialmente una chimera”. E’ quanto emerge dal rapporto pubblicato dal Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights presentato oggi all’intergruppo interparlamentare di amicizia col popolo Saharawi, alla Camera dei deputati. La delegazione guidata da Kerry Kennedy – si legge nella nota diffusa dall’associazione – è stata testimone diretta di episodi di grave abuso contro il popolo Saharawi da parte delle forze di polizia marocchina, e ha anche ascoltato innumerevoli testimonianze circa il ripetersi negli anni di insopportabili violenze ed intimidazioni. Una situazione ancor più paradossale alla luce della ratifica da parte del Marocco di diversi trattati internazionali sui diritti umani che stabiliscono la responsabilità  internazionale per la violazione degli stessi: quello della Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata (Iccped), la Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), la Convenzione contro la tortura (Cat), la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), la Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani (Unphrd). Anche il lavoro dei difensori dei diritti viene deliberatamente ostacolato in evidente trasgressione alla  Dichiarazione dei Principi di Parigi riguardo alle organizzazioni che li promuovono e li proteggono. E’ il caso di Codesa, l’organizzazione creata da Aminatou Haidar, che non è ancora stata riconosciuta ufficialmente. Haidar è da anni in prima linea nella difesa dei diritti del popolo Saharawi e per questo è stata più volte imprigionata e brutalmente torturata, subendo danni permanenti alla sua salute. Ancora oggi rischia la vita per questa causa.

La delegazione dell’Rfk ha anche visitato i campi profughi del popolo Saharawi ubicati nei pressi di Tindouf, in Algeria, osservando che, mentre l’organizzazione e l’amministrazione dei campi hanno portato un senso di stabilità  e normalità , persiste la grave preoccupazione per la vulnerabilità  di questa popolazione che vive  isolata da quasi quattro decenni. Nonostante il fatto che la collaborazione internazionale fornisca a più di 100 mila persone il minimo indispensabile per vivere, i rappresentanti delle organizzazioni internazionali a sostegno dei rifugiati hanno riferito alla delegazione che le condizioni nei campi profughi potrebbero avere conseguenze negative per l’integrità  fisica e psicologica degli abitanti. La delegazione ha osservato che le condizioni nei campi non rispondono ad alcuno standard permanente di vita. Queste condizioni comportano, tra l’altro, un’esposizione a calore estremo, una severa limitazione dell’energia elettrica e dei servizi igienico-sanitari, una mancanza di varietà  nella dieta e una limitazione eccessiva alle alternative di lavoro.

 

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