Rischio idrogeologico: l’Italia è una frana!

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Sì, perché è difficile parlare ancora di ”emergenza” quando le allerte meteo scattano ormai sistematicamente ogni autunno, a causa della mancanza di un’adeguata politica di prevenzione e di governo del territorio. Gli ultimi anni hanno evidenziato in modo inequivocabile che le conseguenze dei cambiamenti climatici su un territorio come quello italiano costituiscono un elemento da cui non si può più prescindere.

 La novità  dei fenomeni meteorologici sempre più intensi, concentrati in poche ore e su aree circoscritte, con alluvioni e danni anche in aree non eccessivamente antropizzate, dimostrano la necessità  di valutare e considerare i loro effetti per pianificare e programmare le politiche territoriali nei prossimi anni con non solo un grande intervento di prevenzione su scala nazionale, ma anche attraverso l’informazione e la formazione della popolazione che deve essere pronta ad affrontare gli eventi calamitosi. “Dobbiamo lavorare, insomma, anche per affermare una nuova cultura del rischio che renda le persone capaci di evitare comportamenti pericolosi di fronte a fenomeni naturali purtroppo non più eccezionali, ma intensificati, ormai con evidenza, dagli effetti dei cambiamenti del clima” ha precisato il Wwf.

Sono di fatto ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale secondo i dati portati dal comitato promotore (Legambiente, Anci, Consiglio nazionale dei geologi, Consiglio nazionali architetti, 
Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali, Inu, Coldiretti, Anbi, Wwf, Tci, Slow Food Italia, 
Cirf, Aipin, Sigea, Aiab, Tavolo nazionale dei contratti di fiume, Ag21 Italy, Federparchi e Gruppo 183). “Una fragilità  – ha spiegato Legambiente – che risulta particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, subito seguite da Marche e Liguria (col 99% dei comuni a rischio) e da Lazio e Toscana (col 98%)”. La dimensione del rischio è quindi oggi strutturale e preoccupante in tutto il Belpaese, con una superficie delle aree ad alta criticità  geologica che si estende per 29.517 Kmq, circa il 9,8% del territorio nazionale e coinvolge oltre 5 milioni di cittadini che si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni.

Alla luce di questi numeri l’obiettivo dell’appuntamento romano è stato, quindi, quello di rimettere la politica del territorio in “agenda” sottoponendo le migliori proposte contro il dissesto idrogeologico ai candidati alle prossime elezioni, per poter riprogettare fin dall’inizio della prossima legislatura un’azione concreta per la mitigazione del rischio, la prevenzione e l’avvio di un’efficace azione di “rinaturazione” diffusa. Per Federico Oliva, presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (Inu): “la giornata di confronto è stata utile per definire come le migliori proposte devono poi entrare in concrete azioni di pianificazione. In particolare urge una legge nazionale sui principi del governo del territorio, a proposito della quale il Parlamento è inadempiente dal 2001, una legge indispensabile per orientare adeguate politiche nazionali, per coordinare l’attività  legislativa delle Regioni, per costruire un modello di piano più efficace e semplificato, fondato su conoscenze scientifiche e scelte conseguenti non negoziabili dalla politica e di piena responsabilità  dei tecnici” ha concluso Oliva.

Per gli organizzatori della partecipata conferenza l’attuazione di una più attenta azione nazionale di difesa del suolo che rilanci, come previsto dalle direttive europee, “il bacino idrografico come elemento base per un adeguato governo del territorio”, non solo produrrà  un beneficio in termini di sicurezza, ma “servirà  come rilancio occupazionale ed economico dei territori”. Infatti, per attivare questi programmi è necessario un supporto tecnico qualificato e diffuso localmente, prevedendo la possibilità  di attivare l’intervento anche di addetti del settore agricolo e forestale con la possibilità  di creare nuova occupazione.

 “Un buon piano strategico per la mitigazione del rischio idrogeologico rappresenta un grande volano per sviluppare la green economy, l’innovazione tecnologica, nuove politiche di gestione del suolo e delle foreste che darebbero un contributo sostanziale alla riduzione delle emissioni di CO2 e allo sviluppo delle aree interne, a vantaggio del riequilibrio territoriale del paese” hanno assicurato gli organizzatori.

“Il debito pubblico e lo spread non possono più rappresentare le motivazioni per non intervenire in questo settore, per il quale è necessario trovare meccanismi finanziari adeguati” ha spiegato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. “È ora che la campagna elettorale affronti il tema delle grandi emergenze del paese, che non sono purtroppo riducibili solo alla pressione fiscale, al debito e allo spread”. L’elevata frequenza di questi fenomeni e un territorio sempre più vulnerabile causano, infatti, ogni anno ingentissimi danni in termini ambientali ed economici (senza contare quello inestimabile in vite umane). “Solo per far fronte alle spese per le emergenze causate dagli eventi avvenuti nel triennio 2009-2012, abbiamo speso oltre 1 milione di euro al giorno, per un totale di circa 1 miliardo, ma i danni contabilizzati sono il triplo delle risorse stanziate” ha concluso Dezza. Mentre un’analisi degli interventi attuati e finanziati fino ad oggi elaborata da Legambiente rivela “che negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi di prevenzione disposti dai Piani di assetto idrogeologico per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro”.

Cosa aspettiamo? Le forze politiche sono avvisate, l’Italia è oggi una frana: è il momento che finisca l’emergenza ed inizi la prevenzione attraverso un nuovo “Green Deal” che rintracci le risorse necessarie e semplifichi la giungla di piani territoriali. “Nelle ultime due settimane di campagna elettorale ci attendiamo parole chiare e pubbliche sull’ambiente quale chiave di volta delle scelte economiche e sociali del futuro”.

Alessandro Graziadei


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