Ragazzi in fuga

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Scappano per poche ore, per un giorno, per due, raramente più a lungo, ma quanto basta perché quello spazio vuoto di cellulari muti, di Facebook senza messaggi, di amici che nulla sanno o nulla dicono, faccia impazzire genitori, fratelli, parenti, vicini. Adolescenti runaways, che fuggono da casa, si allontanano, si rendono invisibili, ma poi per fortuna tornano o vengono ritrovati. L’età  più critica sono i quindici, sedici anni, quando tutto sembra stretto, regole, famiglia, scuola, l’età  dei conflitti e degli estremi. «Litigate troppo, e me ne vado», scrive Tatiana alla madre con un sms, prima di scomparire per un intero, spaventoso venerdì, nessun contatto fino a che una pattuglia non la rintraccia, infreddolita, impaurita e sola sulla panchina di un parco.
Crescono i numeri delle micro-scomparse dei teenager, un ragazzino su tre, dice un sondaggio Eurispes-Telefono Azzurro, ha messo in atto per propria ammissione l’arte della fuga, la maggior parte, oltre il 70 per cento, torna a casa volontariamente, altri vengono ritrovati da familiari, polizia, compagni di scuola, un numero esiguo finisce invece, purtroppo, tra le file dei minori missing, quelli che non si trovano più.
«Non vi sopporto più, voi e le vostre regole, mi soffocate», spiega ai genitori in lacrime Marco, 17 anni, dopo un giorno e una notte da fuggitivo, da Savona a Genova, da Genova a Milano, su e giù sui treni, fino a che finalmente riaccende il cellulare e la sua fidanzata coetanea ma non complice lo convince a tornare a casa. Sono frammenti di cronache e racconti raccolti dalle forze dell’ordine, dai volontari delle linee di soccorso per adolescenti, quando gli adolescenti finalmente spiegano perché se ne sono andati. E ciò che emerge, al di là  delle apparenze di un mondo dove il conflitto tra generazioni sembra scomparso, e le case sono aperte, e la sessualità  ammessa, è che la radice invece è tutta lì, nel rapporto tra genitori, figli e regole. Lo conferma, ad esempio, il 26,7 per cento dei ragazzi intervistati dall’Eurispes, e il 9,1 dice apertamente di sentirsi «limitato» nella propria libertà . Ma per Massimo Ammaniti, psicoanalista e grande esperto di infanzia e adolescenza, queste brevi sparizioni non sono vere e proprie fughe, ma «allontanamenti provocatori », un modo per conquistare in famiglia, «attraverso questo feroce ricatto affettivo», più spazi, più concessioni, più Internet, più tecnologia, più libertà . Più attenzione, anche. «Nella mia esperienza terapeutica di questi allontanamenti ne ho visti molti. E sono qualcosa di diverso dalla fuga vera e propria, con la quale un giovane taglia davvero i ponti con la famiglia perché vuole provare un tipo di vita diversa. Accadeva molto di più in passato, quando per i giovani esistevano forti limitazioni nella libertà , nel poter vivere la sessualità . Ricordo le fughe in India, chi andava a vivere nelle comuni. Ma quei fuggitivi non si voltavano indietro….».
Sperimentare un altrove, praterie diverse, con tutti i rischi e le delusioni connesse. Storie di ieri soprattutto. Mentre oggi, alle micro-fughe si sovrappone un altro tipo di scomparsa. Poco fisica, molto mentale. «Penso al ragazzino o alla ragazzina che per protesta, perché i genitori chiedono di rispettare regole nello studio, nella presenza in casa, tentano di limitare (o controllare) le ore di Facebook, si chiude nella sua stanza e non esce più. Niente pasti insieme, niente contatti, niente. Per i genitori può diventare insopportabile ». «Volevamo stare da soli, i nostri genitori ci impediscono di frequentarci, non capiscono che non facciamo nulla di male », ammettono Paolo e Samanta, 17 anni lui, 14 lei, che scappano da Giugliano, provincia di Napoli, e vengono ritrovati tre giorni dopo a Roma, alla Stazione Termini, da un agente della Polfer incuriosito da quei due giovanissimi che dormivano abbracciati sulla banchina del binario “riservato” ai senzatetto.
Chiara Giacomantonio è vicequestore aggiunto al Servizio centrale operativo, e si occupa in particolare di minori scomparsi. «Per fortuna il numero dei bambini e adolescenti di cui davvero si perdono le tracce in Italia è molto basso, e i nomi, alcuni, li conosciamo tutti: Angela Celentano, Denise Pipitone…». A questi si aggiungono i ragazzi che fuggono dai centri di accoglienza, dalle case famiglie e i bambini sottratti da uno o dall’altro genitore. Tutto il resto, oltre il 70 per cento, sono allontanamenti volontari, che quasi sempre si risolvono positivamente in circa 48 ore. L’età  media – descrive Giacomantonio – è di 15, 16 anni per le ragazze, e più bassa per i maschi, anche 13 anni. Li ritroviamo nelle stazioni dei treni, nei parcheggi degli autobus, che vagano per le città …». Microfughe dettate perlopiù, conferma Chiara Giacomantonio, da dinamiche familiari: madri e padri che litigano, conflitti con i nuovi compagni di uno o dell’altro genitore, imposizione di regole, paura per un cattivo rendimento scolastico, bullismo.
«Gran parte dei teenager che scappano, che non tornano a casa dopo la scuola, dopo la palestra, vogliono in realtà  farsi ritrovare. Lasciano tracce, e soprattutto non sopportano la solitudine: dopo tre o quattro giorni crollano e spesso ci contattano volontariamente. Ma ci vuole molta delicatezza, sia nel parlare con loro, sia con i loro genitori ». Durante le indagini infatti, non appena scatta la segnalazione di scomparsa, «noi cerchiamo di capire con gli adulti cosa può essere successo, se c’è stata una lite, se la fuga era in qualche modo annunciata, chi frequentava il ragazzo, ma spesso, per pudore o per rimozione, la famiglia fatica ad ammettere che il problema nasce da lì, in casa », conclude Chiara Giacomantonio. Aggiunge Claudio De Angelis, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale dei minorenni di Roma: «Queste fughe volontarie dalle famiglie sono qualcosa di molto diverso dalle scomparse vere e proprie, i cui numeri sono purtroppo in aumento. Ma costituiscono per noi un segnale di un malessere all’interno di quel nucleo familiare, che noi possiamo supportare, ad esempio, con l’intervento dei servizi sociali».
Dal suo osservatorio sull’infanzia e l’adolescenza Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoanalista, invita però alla cautela. «Spesso nei sondaggi i ragazzi dichiarano di aver fatto qualcosa che hanno soltanto pensato e immaginato di fare. A me sembra che tra gli adolescenti la voglia di fuga non sia così concreta e reale, quanto più psicologica e virtuale. I giovanissimi fuggono chiudendosi in camera loro, isolandosi in una dimensione virtuale e immateriale. Le fughe di ribellione, di affermazione della propria personalità  ci sono, ma non mi sembrano in maggioranza, appartengono a un tempo in cui nelle famiglie le regole non erano trattabili come oggi… A me ciò che spaventa è la fuga dentro se stessi, l’autoisolamento, l’esercito crescente anche in Italia dei ragazzi ikikomori, autoreclusi in un mondo a parte».
E che la Rete sia un ingannevole pifferaio magico di chissà  quali occasioni e avventure è noto da tempo. Ma sempre di più le amicizie virtuali, e dunque del tutto incontrollabili, spingono poi a fughe reali, magari per la semplice voglia di incontrarsi, lei o lui conosciuto online, sperando che il profilo sia vero… Con conseguenze che possono essere del tutto innocenti (tranne l’angoscia dei genitori), o gravissime, la rete dei pedofili è vasta, ramificata, inafferrabile. Vincenzo Spadafora da meno di un anno è il Garante dell’infanzia, authority istituita dopo lunghi rinvii e soltanto da poco dotata di qualche mezzo per operare. «In questi mesi ho girato l’Italia proprio per ascoltare i ragazzi, dai grandi comuni ai piccoli paesi, e mi sono reso conto che a partire dai dodici anni, cioè dalle scuole medie, per loro sul territorio non c’è nulla: niente spazi, poco sport, nessuna attività  culturale, la crisi ha tolto risorse al volontariato e a quelle istituzioni che dei giovani si occupavano. I ragazzi sono soli in casa con la compagnia di Internet e pochissimo dialogo in famiglia. Capisco che la voglia di fuga, magari soltanto per accendere i riflettori su di sé, e dire “io ci sono” può diventare forte e urgente. Un gesto, una provocazione».
Così si chiude la porta della stanza, con lo zainetto della scuola e si diventa runaways, ragazzi di strada. Spesso, per fortuna, soltanto per poche ore.


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