Quel vizio bipartisan di usare i bimbi in politica

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«Alè, nonnino!» Mancava solo Mario Monti, alla sagra che da decenni spinge i politici di destra e sinistra, salvo eccezioni, a titillare il cuore mammone degli italiani tirando in ballo i bambini. Lui sospirerà : così fan tutti. È (quasi) vero. Ma lo spot un po’ «Mulino Bianco» e un po’ «berlusconese» in cui è molto compostamente sdraiato a giocare coi nipotini conferma una contraddizione. Di qua l’attenzione ai «messaggi», di là  la distrazione verso il mondo della famiglia, degli asili nido, delle materne, delle elementari, dei doposcuola, dei parchi giochi e insomma di tutto ciò che ha a che fare in concreto coi nostri figlioletti.
Era inevitabile, forse. Smessi i panni del baldanzoso Paese giovane e garibaldino, interventista, avanguardista, e poi partigiano e sessantottino per indossare quelli di un Paese sempre più vecchio, ci ritroviamo con 12 milioni di cittadini che hanno più di 65 anni. Va da sé che il giorno stesso in cui fece la sua rentrée nel grande show, un mese e mezzo fa nel salotto di Barbara d’Urso, Berlusconi andò dritto lì. E dopo aver chiesto scusa per le serate con le amichette e il Bunga-bunga confidò a nonni e nonne quant’era bello esser nonno e tutta la sua gioia per il Natale in arrivo. «L’augurio più bello?», l’incoraggiò premurosa la valletta. «Gli augurissimi natalissimi del mio nipotino Alessandro».
Niente di nuovo, in realtà . Assai prima che Mario Monti si mettesse nella sua scia, il Cavaliere aveva già  scelto più volte di uscire dai momenti complicati avvitandosi nel ruolo. Cominciò nell’estate 2008. Manco il tempo che dilagassero le chiacchiere sulle sue frenesie di arzillo donnaiolo e si fece dedicare da Chi una copertina in cui coccolava Veronica e uno dei nipotini: «Nonno e marito: felice di esserlo». L’estate dopo, nel pieno dello scandalo su Noemi Letizia, le escort e le accuse della moglie, replay con nuova copertina, stavolta senza Veronica ma col nipotino: «Adesso parlo io». Terza puntata dopo lo scoppio del caso Ruby e terza copertina: «Festa in famiglia». Tanto clamore, tanti nipotini: cinque.
Non è che sull’altro fronte, del resto, ci siano andati leggeri nell’uso dei pargoli. Dai tempi in cui una mamma dai coloratissimi calzettoni a righe si tirò dietro a un corteo pro-aborto del 1975 un carrettino con due bambine che mostravano il cartello «è più bello nascere se si è desiderati», non c’è stata manifestazione a sinistra che non sia stata accusata di strumentalizzare i figlioletti. Basti ricordare il bambinetto col monopattino in tutina bianca (la versione «moderata» dei black block) mandato incontro ai poliziotti durante le proteste a Milano contro il G8 genovese nel giugno 2001. O i bambini fatti sfilare dai genitori nell’ottobre 2008 per le strade di Roma con una fascia nera al braccio in segno di lutto per la riforma di Maria Stella Gelmini.
Per non dire di tanti altri episodi sconcertanti. Come un video postato su Youtube dove degli scolaretti, pilotati da qualcuno più grande di loro, intonano una canzoncina contro il Cavaliere: «Coi tacchi e il parrucchino, / la plastica e il cerone, / tu sembri il manichino di un imbroglione». E via con ritornello: «Fai la cacca in una mano / e poi datti una sberla / Faccia di merda, faccia di merda…» I genitori di quei bimbi diranno che è solo una piccola volgarità  giocosa. O che non c’era meno volgarità , al di là  delle parolacce, nella scelta di Maria Pia Dell’Utri di aiutare anni fa la figlia Araba a fondare il «Baby club Forza Italia», con festicciole e pasticcini per tutti gli amichetti…
Certo è che ciascuno si scandalizza, da sempre, per l’uso dei bambini altrui. Ed è assai più indulgente verso se stesso. Si pensi al titolone che dedicò alla manifestazione contro la Gelmini («La marcia su Roma… dei bambini») il quotidiano leghista La Padania. Per niente scandalizzato, al contrario, dalla nascita degli «Orsetti padani» col fazzolettino verde e il Sole delle Alpi o dalla presenza sui palchi delle feste leghiste di piccoli padani vestiti da antichi celti con gli elmi dalle lunghe corna. Per non dire di Alessandra Mussolini, indignata per le manifestazioni coi figlioletti se sindacali, rosse o comunque sinistrorse, molto meno per i pellegrinaggi nostalgici a Predappio coi piccini vestiti da balilla o da camicia nera con tanto di fez e manganello: «Una gita scolastica a Predappio non è tabù. Fa parte della storia. Se si fa un discorso… Poi, io, i miei figli, è chiaro che li ho portati».
Certo è che se il coinvolgimento dei bambini da parte della politica ha una sgradevole tradizione radicata nel tempo (ricordate i manifesti per il 18 aprile 1948? Ce n’era uno diccì con uno scolaretto in grembiulino che incitava i compagni di classe: «E se papà  e mamma non andranno a votare noi faremo la pipì a letto!») l’interesse nei confronti dei bambini è assai più basso. Anzi, sempre più basso.
Non è solo una questione di asili nido o scuole materne, che come dimostrò mesi fa in un’audizione al Parlamento Stefano Pozzoli sono così abissalmente diversi dal Nord al Sud che in Calabria c’è posto per un bambino ogni 2.145 abitanti: il che significa escludere a priori la possibilità  che una donna possa insieme fare figli e lavorare. È tutto il sistema di sostegno alle famiglie che non funziona.
«Ci vuole ben altro che qualche spot coi cuccioli in braccio, bambini o cagnolini che siano, per trasmettere un’idea di tenerezza e prendere qualche voto!», accusa Antonio Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana, «Qui sui bambini e sulla famiglia i governi non investono da anni». Secondo il rapporto Ocse 2011 sulle politiche familiari europee, i Paesi avanzati investono mediamente sulle famiglie che hanno dei figli o desiderano averne il 2,2% del Pil. Una percentuale che si impenna in Gran Bretagna fino al 3,5% e in Francia al 3,8%. E noi siamo lì, inchiodati sotto l’1,4%…


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