by Sergio Segio | 11 Febbraio 2013 7:53
L’annuncio che il 6 aprile la squadra americana di ping pong, impegnata al mondiale di Nagoya in Giappone, era stata invitata a Pechino, colse perciò tutti di sorpresa. Ma dal 10 successivo, la visita eclissò le altre notizie di prima pagina per alcuni giorni. Quando il 14 dello stesso mese venne revocato l’embargo commerciale contro la Cina, si capì che la «diplomazia del ping pong» poteva segnare una svolta storica. Si apprese solo anni più tardi che in segreto il presidente Nixon aveva aperto alla Cina dal dicembre del 1970, con un messaggio del consigliere Kissinger al premier Zhou Enlai, di cui s’era fatto tramite il Pakistan, e che il 27 aprile del 1971, dopo il rientro in America della squadra di ping pong, aveva ricevuto una risposta positiva. Quel mese, l’America non potè che speculare sui retroscena e i motivi della svolta, attribuita dai più ai leader cinesi, e accontentarsi dei resoconti della squadra e del seguito, resoconti che posero fine alla «demonizzazione» del nemico. L’attendeva una sorpresa ancora maggiore: l’annuncio a luglio che Kissinger aveva visitato Pechino di nascosto, e che Nixon vi era stato invitato per i primi del 1972. In piena Guerra fredda, con l’America agitata da altri problemi interni, dal femminismo al voto ai diciottenni, la svolta causò profonde spaccature. A ottobre, la cacciata di Taiwan dalle Nazioni Unite e l’ingresso della Cina al suo posto fu vista come una sconfitta. Ma la Storia ha dimostrato che la svolta fu necessaria alla stabilità globale, e che triangolando con Mosca, dove si recò di lì a poco, e con Pechino, Nixon aveva visto giusto. Nixon fu costretto a dimettersi tre anni dopo a causa dello scandalo Watergate, ma il 1971 è rimasto l’anno in cui statisti molto lontani gli uni dagli altri seppero ottenere i massimi risultati dalla «diplomazia dello sport».
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