Quei centomila voti in Lombardia che decideranno le sorti del governo

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MILANO. «COME va la campagna? Fa on frecc de biss» sibila il compagno deputato Daniele Marantelli, da sotto la sciarpa del Varese Calcio, un attimo prima che un colpo di tramontana trasformi il gazebo del Pd in una serpe impazzita nel centro di Varese. Sarà  banale dirlo, ma si considera poco che si vota a febbraio e nel Nord la battaglia si svolge nel gelo.
NELLE piazze, ai mercati, ai cancelli delle fabbriche, i candidati inseguono gli elettori che corrono a casa davanti alle televisioni, mai così padrone del gioco, neppure quando Berlusconi era davvero Berlusconi e non la maschera di Carnevale di se medesimo. Se poi al dato meteorologico si aggiunge il clima politico, l’inverno dell’antipolitica e una certa algidità  dei candidati, tira davvero un freddo da biscia. Non ho mai visto in tanti anni in Lombardia una campagna elettorale così decisiva eppure tanto fredda, pallida e smorta. Il voto dell’Italia si decide in Lombardia e quello lombardo in un’area pedemontana di quattro milioni di abitanti. Alla fine, spiegano gli esperti, significa che il futuro governo del Paese, maggioranza e minoranza in Parlamento, spread e compagnia, tutto può essere deciso da centomila voti nella fascia di paesotti da Varese a Brescia. Gli stessi centomila voti indecisi che da settimane fanno ballare la bilancia dei sondaggi, ora dalla parte del centrosinistra, ora sull’asse Pdl-Lega, un punto o due al massimo.
Con una simile posta in gioco, ti aspetti di assistere a una battaglia campale, pancia a terra, comune per comune, quartiere per quartiere.
Tanto più che per la prima volta mancano le due macchine da guerra che hanno dominato la scena lombarda e non solo degli ultimi venti anni, Roberto Formigoni e Umberto Bossi. Formidabili animali da campagna elettorale, capaci di battere ogni borgo pur di ramazzare un altro pugno di voti. Oggi Formigoni passa la giornata a twittare con rancore e il Senatur a casa ad arringare il Trota. Il campo è libero. Ma nessuno se lo prende. Il candidato del primo centrosinistra che potrebbe vincere la Lombardia, l’avvocato Umberto Ambrosoli, ha finora svolto una campagna definita dai giornali di Varese e Bergamo «milanocentrica », il che da queste parti equivale a un insulto. Ambrosoli si è sforzato di tenere fuori i partiti, circondato da un pezzo di società  civile milanese, nomi peraltro non famosissimi neppure in città , e di non usare mai la memoria del padre Giorgio, eroe boghese di un’altra Italia. Nobile scrupolo, non fosse che qui nella grande provincia già  molti non ricordano Giorgio Ambrosoli e scambiano il cognome con «quello delle caramelle », abituati a vedere figli di industriali nelle schiere del centrosinistra. È difficile avvistare oltre la cerchia dei Navigli pure Gabriele Albertini, che sembra correre ancora per la poltrona di sindaco e non per il Pirellone. In compenso si vede dappertutto il faccione di Roberto Maroni, con i suoi manifesti tre per sei su sfondo azzurro e una vagonata di soldi a disposizione, «grazie ai fondi di Roma ladrona » come dice Albertini. Ma nei comizi «l’è minga il Bossi» sospirano i militanti. C’è poi la candidata del Movimento 5 Stelle, la quarantenne Silvana Carcano, accreditata di un 10 per cento, in disciplinata attesa dell’avvento di loro signore Beppe Grillo, l’unico che riempia le piazze a qualsiasi temperatura.
In mancanza di una campagna elettorale degna di questo nome, accade quel che può ed era prevedibile. Ogni settimana il vantaggio del centrosinistra, regalato dai disastri della giunta Formigoni, si è limato fino a scomparire, sotto i colpi della danarosa offensiva leghista e degli scandali e scandaletti. Quello grosso del Monte dei Paschi e quello minimo della Nutella, forse il più scemo della lunga storia degli scandali nazionali. I magistrati hanno mandato una raffica di avvisi di garanzia ai consiglieri del Pd in regione per rimborsi impropri, un paio per cifre superiori ai centomila euro, altri per quattro soldi compresa la Nutella («devo giustificare 3 mila euro in cinque anni, un euro e mezzo al giorno» fa il conto Pippo Civati), più sette avvisi di garanzia a consiglieri Pd per la somma di zero euro. Proprio così, zero euro, ma il fascicolo era già  aperto. Ognuno può fare i dovuti paragoni con i 4,5 miliardi di multe regalati dalla Lega agli evasori delle quote latte e pagate dai contribuenti italiani, con i fantastiliardi spariti nei meandri della sanità  «d’eccellenza» di Formigoni, con le tangenti rosse e milionarie del «sistema Sesto», con gli appalti loschi della ‘ndrangheta e perfino coi diamanti del «cerchio magico» di Bossi. Ma tanto basta, nel carrozzone di anti e telepolitica, per mettere tutti quanti nel mucchio dei ladri.
Nella casa piacentina, un passo dalla terra da sempre straniera per la sinistra, Pierluigi Bersani non si dà  pace e prepara la controffensiva. «Ai miei ho detto di alzare la voce. Non è possibile che un barattolo di Nutella cancelli vent’anni di disastri, sprechi e furti. Non dobbiamo inseguire gli imbonitori, perché su quel terreno vincono loro. Ma neppure assistere da signori del fair play a questa indegna asta per l’ultimo voto. Berlusconi promette 30 miliardi di sgravi fiscali, più il rimborso dell’Imu. Maroni, invece di nascondersi per lo scandalo delle quote latte, rilancia con l’abolizione dell’Irap, dell’Imu e il bollo auto gratis. Grillo annuncia un salario garantito a tutti di mille euro al mese per tre anni, al modico costo di 100 miliardi per le casse dello stato. Più che la Lombardia del 2013, pare la Napoli del dopoguerra, con la differenza che almeno il comandante Lauro il pacco di pasta e la seconda scarpa poi glieli portava. Ma io mi rifiuto di credere che i lombardi abbocchino. Se gli facciamo discorsi seri sul lavoro, il credito, l’innovazione, ci seguiranno e si può vincere ». Il piano di Bersani prevede un’invasione negli ultimi giorni. Lui stesso partirà  per un giro della pedemontana, sulle tracce di quella via dei distretti attraversata per anni con Enrico Letta, in una delle poche iniziative efficaci del centrosinistra nel Nord. Dice di aver parlato «quasi soltanto di Lombardia» nell’incontro fiorentino con Matteo Renzi, il quale ha accettato subito di lanciare la sfida nella tana del nemico, nella Varese della Lega e ora anche di Mario Monti. Si mobilita anche Nichi Vendola, che ha deciso di trascurare la sua Puglia per trasferirsi nella settimana decisiva al Nord: «Il paragone della Lombardia con l’Ohio delle elezioni americane è sbagliato per difetto _ nota il governatore _ La Lombardia è l’Ohio più la Florida più la Virginia. Si decide tutto là ». Daniele Marantelli, detto il leghista rosso, che dirige il traffico della campagna del Pd nella pedemontana, saluta con sollievo gli annunci: «Questa è un’occasione unica per il centrosinistra. Come quando leggi in autostrada: prossima uscita 300 chilometri. Non capisco perché i leader del centrosinistra non abbiano già  trasferito qui il quartier generale ».
A voler combattere, gli argomenti non mancherebbero. Le promesse mancate del federalismo, il disastro delle politiche industriali di Berlusconi e Tremonti, gli scandali dell’era Formigoni, le decine di migliaia di aziende costrette a licenziare o a chiudere, il flop della Malpensa e così via. Senza contare lo spettro del fallimento dell’Expo 2015, un appuntamento al quale i lombardi continuano a credere meno degli stranieri, che si sono già  iscritti in massa, con il record di 120 paesi partecipanti e oltre 20 milioni di visitatori previsti. Alla fine saranno centomila voti a decidere il governo della Lombardia e dell’Italia, più o meno gli abitanti di Varese città . Se la campagna elettorale non si scalda, se la gente rimane a casa a guardare le televisioni, non c’è neppure bisogno di sprecare i soldi dei sondaggi per sapere fin d’ora chi sarà  il vincitore.


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