Quando un movimento si fa legge

by Sergio Segio | 23 Febbraio 2013 11:46

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Un nuovo volume si aggiunge agli scaffali dedicati ai commons. Questa volta il contributo viene da uno studioso e da un attivista interessato a innovare il diritto Esce a a ridosso delle elezioni in cui l’autore ha deciso di candidarsi, e può dunque leggersi come un personale impegno politico, questo agile volume di Alberto Lucarelli, uno dei giuspubblicisti più innovativi ed attivi sulla scena politica ed accademica italiana ( La democrazia dei beni comuni , Laterza, euro 16).
 Come giurista Lucarelli ha legato il proprio nome al recupero dell’articolo 43 della Costituzione; all’elaborazione dei lineamenti di un nuovo «diritto pubblico europeo dell’economia»; allo studio teorico dei modelli di democrazia partecipativa. A cavallo fra il diritto e la politica si colloca invece il suo lavoro nella Commissione Rodotà ;quello di elaborazione dei quesiti referendari sull’acqua bene comune; la sua difesa degli esiti referendari in Corte Costituzionale.
 Infine, sul piano della politica rappresentativa, Lucarelli è stato eletto in Consiglio Comunale a Napoli (con molte preferenze) e ha ricoperto, fino a qualche settimana fa quando si è dimesso per candidarsi alla Camera (collegi in Liguria e Veneto) la carica di Assessore ai beni comuni e alla partecipazione, un neonato assessorato dal quale sono partiti molti impulsi innovativi. Fra questi merita di essere ricordata almeno la trasformazione di Arin Spa in Abc Napoli e la delibera «destituente» sui beni comuni, raggiunta in dialettica anche aspra con il collettivo degli occupanti dell’Ex Asilo Filangieri.
 Questa riflessione di Lucarelli, che viene ad arricchire un panorama di letteratura giuridica italiana sui commons ormai davvero cospicuo, non delude le aspettative generate da un simile pedigree di attivista non solo nazionale dei beni comuni (importanti sono i legami accademici e di movimento sviluppati da Lucarelli in Francia dove coltiva da anni un rapporto politico con l’ Assessore all’ Acqua Pubblica Anne Le Strat). Il taglio scelto è quello di una riflessione sulla scienza del diritto pubblico italiano al tramonto dello stato sociale. Il metodo realisticamente sfugge dalla nostalgia e immagina la costruzione di un nuovo modello, apertamente alternativo allo «stato regolatore» (la cui logica è legata principalmente ai nomi di Giuliano Amato, Franco Bassanini e Sabino Cassese) che l’autore considera il massimo responsabile dell’attuale «disarmo» del settore pubblico. Il primo capitolo è dedicato alla fenomenologia tridimensionale del diritto pubblico, fra politica, amministrazione e società . Il secondo analizza i processi di trasformazione del diritto pubblico contemporaneo sotto i colpi del privatismo ideologico proprio del modello «stato regolatore». Ne segue strutturalmente la crisi di effettività  del diritto pubblico sociale, cui è dedicato il terzo capitolo.
Gli ultimi due capitoli, indicano le vie di ricostruzione («riarmo» come ama dire Lucarelli) del diritto pubblico. Il quarto capitolo si dedica alla costruzione di un diritto pubblico dei beni comuni, sforzando si di metterne sotto controllo lo spontaneismo e quegli aspetti di diversità  giudicati eccessivamente anarchici e localistici. Qui Lucarelli prova a costruire dal basso un modello universalistico che mantenga nelle mani delle istituzioni della politica rappresentativa una sorta di potere di controllo informato alla tutela del debole e del marginale. Il quinto capitolo, dedicato all’emergere del diritto pubblico europeo dell’economia a mio avviso è assai più convincente del precedente, dove emergeva la difficoltà  del giuspubblicista a liberarsi appieno della dimensione gerarchica della norma, lasciando spazio all’ autonomia costituente. Lucarelli lavora bene alla messa in opera della «coesione sociale e territoriale» come un vero e proprio contro-principio di rango costituzionale europeo contrapposto a quella «regola» della concorrenza, che, denuncia Lucarelli, è stata ideologicamente promossa a «principio».
 Il libro si conclude con otto punti programmatici su cui occorrerebbe lavorare e con un apparato bibliografico. Si tratta di un programma di lavoro ambizioso e in gran parte condivisibile, per perseguire il quale sarebbero necessarie cospicue forze parlamentari desiderose di invertire la rotta. Sarebbero soprattutto necessarie forze sufficienti per perseguire a livello locale, con costanza, le molte vertenze ed innovazioni che in questi anni il movimento per i beni comuni è riuscito a mettere all’ ordine del giorno.

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