Quando l’azienda è una famiglia bonus e utili divisi con i dipendenti
ROMA — Un regalo ai dipendenti, in un periodo di spese e tasse salate. O un modo diverso di concepire l’azienda: come una famiglia, tutti sulla stessa barca, si procede o si affonda insieme. Sono i motivi che hanno spinto alcuni dirigenti d’azienda italiani a condividere parte dei profitti con i lavoratori. Nomi conosciuti, come il re del cachemire Brunello Cucinelli. Che lo scorso Natale ha annunciato di voler distribuire 5 milioni di utili della società , da poco sbarcata in Borsa, ai 700 impiegati ed operai: 6.385 euro ciascuno. Ma anche manager del quarto capitalismo, le multinazionali tascabili vero asse dell’industria tricolore.
«È solo buon senso: il successo va condiviso», dice Lindo Aldrovandi, presidente di Renner Italia. Nel 2012 l’azienda bolognese di vernici per legno, nonostante le difficoltà del settore, ha incrementato il fatturato di oltre il 10%. Il contratto integrativo firmato nel 2010 con la Filctem-Cgil prevede che il 15% degli utili vada ai lavoratori. «Un modo per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie – spiega Aldrovandi – ma anche una scelta di lungo periodo ». Da quest’anno infatti si è aggiunto un altro bonus per l’efficienza energetica, uno dei costi maggiori per l’impresa. Su una bolletta da 1,5 milioni di euro il risparmio è stato del 7,5%. Sommando i due premi, i 200 dipendenti hanno visto la busta paga gonfiarsi di 2mila euro, 1.629 netti.
Salari che aumentano con i bilanci dell’azienda. Succede anche alla Adler di Santo Stefano Ticino, vicino Milano: 50 lavoratori, tra i leader mondiali nella produzione di valvole a sfera che finiscono in Cina, negli ingranaggi del Mose, o nei macchinari per fare la Nutella. «Non sono un “padrun dalle belle braghe bianche”», dice il presidente e fondatore Umberto Covelli. «So come coinvolgere i miei dipendenti, lo sono stato anche io». Due i premi di risultato, sanciti dal contratto firmato con la Fim-Cisl: uno legato al margine operativo, l’altro alla qualità della produzione. Quest’anno circa 60mila euro di utili finiranno ai lavoratori, 950 a testa. E una cifra simile arriverà ai dipendenti di Unicoop Toscana, dopo l’accordo integrativo «modello Volkswagen» siglato a fine 2012: il 25% dei profitti saranno redistribuiti.
Quando non si cresce è più difficile. Spesso, con i conti in rosso, i destini dell’operaio e quelli del manager si separano. La Intek-Kme, produttore toscano di rame, ha in programma 150 esuberi. Eppure a Natale i vertici della capogruppo hanno confermato un piano di distribuzione di stock option ai dirigenti: un milione di euro, oltre agli otto già assegnati in precedenza. Tutto legale, ma benzina per l’indignazione. Come i bonus milionari staccati ai manager dei grandi istituti di credito internazionali dopo l’esplosione della bolla subprime. Uno studio della Fabi, sindacato dei bancari, ha mostrato che nel settore finanziario le retribuzioni dei vertici superano di 85 volte quella di un impiegato. Tra le filiali dei gruppi italiani si ipotizzano per i prossimi anni fino a 35mila esuberi. E di fronte a una riduzione così drastica, pure i manager hanno dovuto concedere qualcosa. In Ubi Banca l’accordo firmato con i sindacati prevede una riduzione d’organico di 650 unità , ma anche l’impegno a diminuire del 20% il costo degli organismi di gestione, tagliando il numero di ammini-stratori, i loro compensi e parte dei benefit. Mentre l’ultimo contratto nazionale di settore, a gennaio, ha creato un fondo per l’assunzione di giovani a tempo indeterminato, cui contribuiscono i top manager con il 4% della loro retribuzione.
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