by Sergio Segio | 18 Febbraio 2013 7:25
Il leader pd: tiriamo l’Italia fuori dal buio. Monti avverte: riforme o opposizione MILANO — La sorpresa si materializza alle 16 e 30. Dopo quattro anni di assenza dai pubblici comizi, Romano Prodi sale sul palco di piazza del Duomo accanto a Pier Luigi Bersani. I 30 mila accorsi sotto la Madonnina per sostenere la candidatura di Umberto Ambrosoli a presidente della Lombardia esplodono in grida di giubilo. «Prodi presidente della Repubblica!». Lui fa no con il ditino. «La mia non è una discesa in campo. Sono venuto qui per ribadire l’importanza della sfida per l’Italia e per la Lombardia e per farvi l’invito a votare uniti. E poi torno al mio lavoro». Si dice sicuro della vittoria di Bersani e guarda già al futuro: «Matteo Renzi sarà una risorsa».
In realtà , il Professore sale sul palco, oltre che per tirare la volata al centrosinistra in un momento cruciale della campagna elettorale, per lanciare un messaggio. Rassicurante. Gli errori del passato non si ripeteranno. La coalizione di centrosinistra non si sfalderà sotto le spinte delle ali. «Questa squadra a differenza del passato resterà unita, perché ha imparato la lezione, e perché è fatta di uomini diversi». Si toglie anche un sassolino dalle scarpe: «Non è che i traditori di centrodestra e centrosinistra abbiano fatto poi una bella fine». È il leit motiv di piazza Duomo. La necessità di rassicurare: non ci sarà un’altra Unione. Lo sottolinea Bersani: «La nostra coalizione sarà stabile e coesa, le loro si frantumeranno. Chi si diverte a sfruculiare la nostra coalizione, si riposi. Noi il nostro patto l’abbiamo fatto con 3 milioni di notai» riferendosi al popolo della primarie. E anche Nichi Vendola sgombera il campo dai dubbi: «Non sarò elemento di disturbo, ma sarò garanzia di governo e stabilita». Quasi a tagliare la testa al toro di possibili alleanze «coatte» post-voto. Una risposta a quanto aveva detto il premier uscente Mario Monti in un’intervista al Secolo XIX: «Siamo prontissimi a stare all’opposizione. Non parteciperemo a un governo che non abbia un forte orientamento alle riforme».
In Duomo si celebra il rito delle Ceneri. In piazza si balla e si canta. Quasi a voler bissare l’esperienza del 2011, quando Giuliano Pisapia tenne il suo ultimo comizio prima della schiacciante vittoria contro Letizia Moratti. Il sindaco di Milano c’è. «Abbiamo cambiato Milano e adesso cambieremo la Lombardia». C’è anche il suo ex assessore Bruno Tabacci, ieri tra i migliori oratori. Ma è Bersani a tenere il campo: «Questa volta smacchieremo il giaguaro. Tireremo fuori dal buio la Lombardia e l’Italia. Tornerà l’arcobaleno». «Questa volta tocca a noi», ripete come un mantra. Stila anche una hit parade delle «balle» sparate in campagna elettorale. «Al primo posto metto Maroni perché l’idea di stampare la moneta lombarda mi è piaciuta. Se lui vuol fare il “Marone” se lo faccia, basta che sappia che i soldi che ci deve dare indietro, i 4 miliardi del condono tombale, 4 miliardi e mezzo delle quote latte, 4 miliardi di Alitalia ce li deve dare in euro». E per una volta si lascia andare spiegando quello che farà durante la prima riunione del Consiglio dei ministri: «Al primo giorno a Palazzo Chigi io chiamerò la Caritas, l’Arci e i Comuni a far dire agli italiani che c’è un sacco di gente che non riesce a mangiare, e partiamo da lì». Seguiranno «lenzuolate di norme» contro la corruzione «che premino gli onesti e non i furbi». C’è anche una stoccata per Beppe Grillo: «Ha detto che in tv non va, perché là qualche domandina devono fartela… Potrebbero chiedergli come mai in piazza a Bologna osa nominare Berlinguer e poi stringere le mani a Casa Pound».
Il concerto continua. Anche Umberto Ambrosoli, visibilmente emozionato, si lascia andare: «Il 25 aprile questa volta arriverà a febbraio, arriverà la settimana prossima». In altre parole, la Lombardia «sarà liberata».
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