by Sergio Segio | 2 Febbraio 2013 7:43
ROMA — Impossibile stabilire se, nella realizzazione dell’archivio segreto rintracciato in un edificio affittato dai servizi in via Nazionale (luglio 2006), vi sia stato un profilo di peculato. Se, insomma, con l’attività di dossieraggio nei confronti di politici, magistrati, personalità e giornalisti, si sia fatto un uso illecito di denaro pubblico.
Per Carla Maria Giangamboni, giudice per le udienze preliminari di Perugia, il fatto non sussiste ed è impossibile procedere nei confronti dell’ex numero uno del Sismi Niccolò Pollari come del funzionario Pio Pompa. L’«esistenza del segreto di Stato» confermata dal governo di Mario Monti come già dai suoi predecessori, restringe la via della procedibilità .
E infatti il giudice proscioglie Pollari — tuttora a processo per il rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar — e il suo funzionario, Pio Pompa, per l’oscura vicenda dell’archivio segreto di via Nazionale. Il segreto di Stato si estende anche all’attività dell’agente «Betulla» alias Renato Farina, che pochi mesi fa, da deputato Pdl, ha ammesso di aver scritto l’articolo sul magistrato Giuseppe Cocilovo, valso ad Alessandro Sallusti la recente condanna al carcere per diffamazione.
Quanto al reato di violazione di corrispondenza, ipotizzato dal pm Sergio Sottani, il reato è prescritto. Pompa resta a giudizio, ma solo per possesso di cd e dvd che secondo l’accusa «nell’interesse della sicurezza dello Stato» avrebbero dovuto rimanere segrete.
Già archiviato il procedimento che presumeva la violazione della privacy, finisce in archivio anche il peculato.
Si comprende quindi la soddisfazione di Pollari che, difeso da Nicola Madia, dopo essersi dichiarato sempre estraneo ai fatti, ha dichiarato: «Opero per l’amministrazione da 50 anni e non si può bluffare così a lungo. Mi sono rimesso alla legge, prima di tutto, e poi alla valutazione dei magistrati. E questo è l’esito».
Impossibile stabilire i profili dell’illecito dietro la realizzazione di quell’archivio segreto nelle (ben) 11 stanze a disposizione degli agenti dell’allora Sismi. L’ipotesi di peculato che era stata formulata inizialmente dal procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti fu poi condivisa da Sottani (l’inchiesta si trasferì a Perugia quando emerse che tra le parti offese c’erano dei magistrati romani). Il magistrato di Perugia, nella sua richiesta di rinvio a giudizio, parla di appropriazione «di somme, risorse umane e materiali del Servizio» che venivano utilizzati «per scopi palesemente diversi da quelli istituzionali». Laddove per istituzionali, secondo Sottani deve intendersi la funzione svolta dai servizi a favore della sicurezza nazionale. E non certo della raccolta di informazioni riservate su uomini e associazioni. Fra le parti civili oltre alle associazione di giuristi europei Medel e l’organizzazione antifrode Olaf, i magistrati Giovanni Salvi, Domenico Gallo, Giuseppe Bronzini, Giovanni Cannellam, Marco Patarella e Amelia Torrice della Corte d’Appello di Roma.
Ma la coperta del segreto di Stato è estesa all’organizzazione dell’attività , al budget destinato per la sua realizzazione, all’inquadramento della collaborazione di Pio Pompa con l’allora Sismi e ai cosiddetti interna corporis (fondi e finalità ) da tutelare. I margini per procedere sono stretti, da qui probabilmente la decisione della Gamboni.
Deluso l’avvocato di parte civile Dario Piccioni: «Questa sentenza conferma che esistono zone di impunità anche rispetto a comportamenti che sono al di fuori delle finalità istituzionali dei servizi».
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