Pd, scatta l’allarme Grillo E il partito «chiama» Renzi

by Sergio Segio | 8 Febbraio 2013 7:23

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ROMA — C’è un dato che preoccupa i vertici del Partito democratico ben più della presunta rimonta di Berlusconi. E’ il fenomeno Grillo a cui i sondaggi riservati di largo del Nazareno attribuiscono percentuali che oscillano tra il 20 e il 21. Certo, Antonio Ingroia può rosicchiare voti a Sel, ma sia il suo movimento che quello di Vendola sono sotto il 4 per cento. E’ l’esplosione dell’antipolitica che inquieta Pier Luigi Bersani. E non solo lui, se Ugo Sposetti, acerrimo nemico di Matteo Renzi di cui ha detto peste e corna in campagna elettorale, ospite della “Zanzara”, esorta il sindaco di Firenze a girare in camper per fare propaganda a favore del segretario.
Già , perché come diceva Rosy Bindi per criticare il primo cittadino del capoluogo toscano: «Grillo è il greggio, Renzi è la benzina: non è che dicano cose diverse». Esagerazioni frutto dell’antipatia, ma non sfugge a nessuno nel Pd che il sindaco di Firenze (che in questa campagna girerà  dieci regioni) può drenare voti da quella parte. Del resto era ed è il suo obiettivo: «Bisogna recuperare voti tra i grillini», è il leit motiv di Renzi. Che, in tempi non sospetti aveva avvertito il Pd: «Se vogliamo fermare Grillo dobbiamo fare una battaglia più incisiva contro la casta».
Ed è proprio il timore dell’ingovernabilità  e dell’arrivo in Parlamento dell’anti-politica che spinge Bersani a ribadire le aperture al dialogo con Monti: «Non governerò mai secondo una logica frontista». La certezza della vittoria piena non c’è, per questa ragione il Pd deve fare i conti con una possibile alleanza di governo con i centristi, alleanza che invece viene esclusa nel caso di successo sia alla Camera che al Senato.
Anche di fronte a una vittoria a metà , Bersani vuole comunque tenere lui in mano le redini del governo: «La guida del Paese tocca al partito che arriva primo. Anche in
Germania quando hanno fatto la grande coalizione hanno seguito questa strada». In parole povere: i centristi non credano di poter porre veti su palazzo Chigi. Su questo punto a largo del Nazareno sono determinati. Però qualcosa dovranno necessariamente cedere. Un esempio? Il Pd vorrebbe cavarsela dando a Monti la presidenza del Senato. Ma dagli ambienti vicini al presidente del Consiglio si ribatte con un’altra richiesta: quella del ministero degli Esteri. Un dicastero che, come è noto, Massimo D’Alema vorrebbe per sé.
All’idea dell’ingresso di Monti nell’esecutivo a guida Bersani Stefano Fassina storce naso e bocca: «E’ chiaro che il premier è sceso in politica solo per non far vincere il centrosinistra e per poterlo condizionare al governo». E comunque c’è il problema Vendola. Quest’estate il “governatore” della Puglia nel corso di un colloquio riservato con il segretario del Pd non aveva chiuso le porte ai centristi: «Io non pongo veti, così come non intendo accettarne». Ma l’ipotesi di cui si parlava all’epoca era quella della collaborazione sulle riforme, non quella di un’alleanza di governo. Con un pareggio al Senato la prospettiva può cambiare e non è detto che Sel sia in grado di reggere l’urto dell’eventuale novità . Tanto più dopo la “botta” di Fausto Bertinotti, che è pronto all’endorsement a favore di Antonio Ingroia.

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