by Sergio Segio | 6 Febbraio 2013 8:18
NEW YORK. È IL castigo di Obama contro i Signori dei rating. Cominciando dal peso massimo: Standard & Poor’s. Fino a 5 miliardi di dollari, sono i danni che l’Amministrazione Usa può chiedere al numero uno mondiale delle agenzie di rating.
DI CHE cancellare i profitti accumulati in molti anni di attività . La durezza dell’attacco è pienamente giustificata, dichiara il ministro di Giustizia di Obama che dirige il procedimento: «Il loro comportamento è scandaloso, e sta al centro dell’ultima crisi finanziaria ». Annunciando la maxi-causa federale contro S&P, Eric Holder spiega che «è un passo avanti nei nostri sforzi per indagare e punire quelle azioni che hanno contribuito alla peggiore crisi economica mondiale della storia recente ». Perché 5 miliardi? E’ la stima dei danni che la massima agenzia di rating avrebbe inflitto alle banche, agli altri investitori istituzionali, ai risparmiatori. Le prove accumulate dalla task force di inquirenti federali si concentrano su un periodo di soli otto mesi, da marzo a ottobre del 2008. «In quell’arco di tempo – spiega il segretario alla Giustizia – quasi ogni titolo che aveva come contropartita un credito verso i titolari di mutui, e che fu valutato con i rating dalla S&P, non solo ebbe risultati molto inferiori ai rating, ma finì per fallire».
All’origine di tutto c’è un gigantesco conflitto d’interessi. S&P, così come le altre agenzie di rating, per emettere le sue “pagelle” sulla solvibilità dei debitori si faceva pagare dagli stessi emittenti di quei titoli. Era una gara ad accattivarsi i clienti regalandogli bei voti, quella che il Dipartimento di Giustizia descrive nei minimi dettagli (con dovizia di email, documenti interni, testimonianze). Le vittime erano gli investitori: alcuni dei quali per legge sono tenuti a farsi guidare dai rating, come nel caso dei fondi pensione che possono acquistare solo titoli con una certa “votazione”. Questi investitori sono stati ingannati, sistematicamente e consapevolmente, da S&P.
Ora, mentre S&P definisce la maxi-causa “destituita di qualsiasi fondamento fattuale e legale”, a Wall Street i maliziosi mettono in circolazione ogni sorta di dietrologie. Ci s’interroga sul perché questa causa arrivi sette anni dopo il misfatto. C’è chi la mette in relazione con il downgrading che S&P volle infliggere al credito sovrano degli Stati Uniti nell’estate 2011. Inoltre la “vendetta di Obama” viene messa in relazione al fatto che i potentati di Wall Street si schierarono (con generosi finanziamenti) in favore del suo avversario Mitt Romney nella campagna elettorale del 2012. Ora che Obama non deve fronteggiare più alcuna campagna elettorale, e ha quattro anni di governo davanti a sé, è giunta l’ora di regolare i conti? Queste dietrologie sottovalutano il fatto che una causa di questo tipo richiede una preparazione enorme, accurata, con raccolte di prove e testimonianze spesso difficili da ottenere in un mondo omertoso come la finanza. A chi invece accusava Obama “da sinistra”, per non avere trascinato davanti alla giustizia i veri responsabili di questa crisi, il presidente ora può rispondere: i conti si faranno alla fine.
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