Morte di un innocente nel lager di Guantanamo

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NEW YORK. Adnan Latif, un giovane yemenita di 26 anni, fu venduto in Pakistan agli americani, un mese dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 per 5000 dollari. È stato fra i primi detenuti ad essere trasferito a Guantanamo, alla sua apertura nel gennaio del 2002. Dieci anni dopo, l’8 settembre 2012, ne è uscito chiuso in una bara. Il detenuto Latif è stato trovato nella sua cella «inspiegabilmente morto». Il fatto ha provocato la reazione delle organizzazioni di diritti civili, da Human Rights Watch e Amnesty International a Reprieve, che dal 2002 è impegnata sui diritti dei detenuti a Guantanamo.
Due giorni dopo la morte di Adnan, il New York Times ha scritto che «la causa del decesso del nono detenuto a Guantanamo appariva essere stata una dose spropositata di sostanze psicotiche che ha portato al probabile suicidio». La versione ufficiale fornita ai media dal portavoce militare a Guantanamo, il capitano Robert Durand, smentiva questa tesi: «Non esiste causa per il decesso di Latif,né naturale, né autoinflitta».
Adnan dunque è l’ultimo detenuto di Guantanamo a morire nel settore di massima sicurezza «Camp 5». Nove decessi negli ultimi tre anni, due nel febbraio e nel maggio scorso, misteriosamente dichiarati come «suicidi». Per gli ultimi due decessi non è stato fatta alcuna autopsia per verificare le cause e capire come sia potuta avvenire la morte. Nel caso di Adnan Latif, l’avvocato David Remes che ha seguito il suo caso dal 2004 – insieme a quelli di altri detenuti a Guantanamo – per conto dell’organizzazione di Washington «Appeal for justice« e per la londinese «Reprieve», ha avviato una battaglia legale contro il governo americano perché venisse effettuata l’autopsia e si facesse luce sul «misterioso suicidio» di Latif, da lui visitato in carcere soltanto una settimana prima della morte.
Dopo due mesi di silenzio da parte dei mititari, lo scorso dicembre è giunta la risposta dell’autopsia effettuata sul corpo di Latif a Ramstein, in Germania, dai militari del Southcom. E il verdetto propone un’ipotesi ancora più peregrina sulla morte. Latif sarebbe deceduto in seguito a «polmonite acuta».
Per capire meglio la vicenda abbiamo interpellato il suo legale David Remes a Washington. Rems, oltre al legame professionale aveva stabilito con il suo cliente un rapporto di amicizia. È convinto che Latif non si sia affatto suicidato, come I militari vogliono far credere. «Latif – racconta – era un giovane yemenita con gravi disturbi psichici. Era stato dichiarato innocente. Non esistevano prove alcune né di terrorismo né di addestramento in un campo jihadista. Meritava di essere curato per ragioni umanitarie e non di essere torturato in prigione per dieci anni. Per ben tre volte era stato dichiarato innocente e idoneo alla liberazione, sia dall’amministrazione Bush nel 2006 che dall’amministrazione Obama, nel 20l0. Poi nel 20l2, per semplice opportunismo politico, Obama ha firmato l’approvazione della legge che consente la detenzione perpetua dei detenuti di Guantanamo. Il primo quesito da porsi è perché Latif e altri 126 detenuti che andavano liberati non siano stati trasferiti nei loro paesi di orgine e affidati ai loro governi. In secondo luogo, contesto la tesi ufficiale e ribadisco che nel caso specifico di Latif non si è stratto di un «suicidio».
Lei ritiene quindi che i militari abbiano raccontato ai media falsità  e tesi discutibili per coprire le loro gravi responsabilita, e che Adnan Latif sia dunque morto in seguito a tortura?
Adnan si ribellava e protestava continuamente con me per le orribili condizioni di detenzione che gli venivano inflitte a Guantanamo. Aveva effettuato uno sciopero della fame, come altri detenuti, ed era stato obbligato all’alimentazione artificiale. È stato picchiato brutalmente dalla squadra degli agenti della «Immediate Reaction Force», per la resistenza. Ai pestaggi seguivano prolungate detenzioni nel settore dell’ospedale psichiatrico, eufemisticamente denominato «centro per la riabilitazione comportamentale», dove gli è stato somministrato ogni tipo di psicofarmaco, sedativi e oppiacei. Infine il trasferimento nel lager di Camp 5 ,in totale isolamento e con ispezioni fisiche di controllo ogni tre minuti, 24 ore su 24 ore.Ma, strana coincidenza vuole che,nel 2010, in una lettera inviatami, Latif scrisse che «sarebbe stato ucciso a Guantanamo in un modo tale e con mezzi che non avrebbero lasciato alcuna traccia». Ritengo che questo sia esattamente quanto è avvenuto».
E come sarebbe stato possibile per Latif trafugare un surplus di pillole, se era sottoposto a una tale sorveglianza?
È proprio per questo motivo che ritengo improbabile, anzi del tutto impossibile che si sia verificato quanto sostiene la versione ufficiale del trafugamento di oggetti contundenti o del passaggio di una sovradose di psicofarmaci da una cella all’altra. Non è possibile, né Latif poteva essere in possesso di quantita di psicofarmaci oltre lo stretto necessario che gli fornivano i secondini in cella. Inoltre Latif non aveva alcuna intenzione di togliersi la vita. Anche se espresse piu volte la sua disperazione e il desiderio di suicidarsi. Nel 2007 scrisse una poesia dal titolo Hunger strike Poem – Guantanamo speak per dar voce alla disperazione sua e dei suoi “fratelli” di Guantanamo: «Dove è il mondo per salvarci dalla tortura? Dove sta il mondo che ci possa salvare dal fuoco di rabbia e tristezza? Dove sta il mondo per salvarci dagli scioperi della fame?» Guantanamo è un inferno che uccide ogni cosa.
Nel suo racconto lei sottolinea che, a quanto risulta dalla sua esperienza, nei casi non remissivi come Latif i militari a Guantanamo somministravano a forza ogni tipo di sedativi oppiacei e alter sostanze «ignote».
Quando andavo in visita a Guantanamo Latif mi disse che i militari lo imbottivano abitualmente di sostanze antidepressive ed eccitanti.
Qual è dunque la sua tesi finale per quello che i militari vorrebbero far passare per «misterioso suicidio»?
Ritengo che qualcuno dei militari addetti alla sorveglianza abbia indotto e quindi facilitato il cosiddetto suicidio introducendo in cella un’abbondante dose di pillole, una quantità  letale di psicofarmaci che gli ha fornito il modo di “suicidarsi”. D’altronde, già  precedentemente, oggetti contundenti come rasoi o forbici sono stati trovati nelle celle degli altri detenuti che sono morti recentemente.
E chi sarebbe questo qualcuno che avrebbe fornito a Latif la dose letale di pillole?
La logica conclusione di questo ragionamento è che questo qualcuno sia soltanto un secondino, un militare di stanza a Guantanamo. È per coprire la verità  che le versioni piu kafkiane sono state date in pasto ai media: «suicida per una overdose di psicofarmaci», «polmonite acuta» o «sostanze» trafugate da Latif stesso durante i suoi trasferimenti da un settore all’altro del carcere,quando era legato nudo e ispezionato costantemente sotto la massima sorveglianza. Tutto viene orchestrato come per costruire le immagini di un film. Un film nel quale, se venisse effettuata una reale inchiesta indipendente che indaghi su tutti questi reati e crimini commessi dal governo statunitense dal 2002 a oggi a Guantanamo, ci sarebbero degli imputati, fuori dalle celle, che andrebbero accusati di un crimine che ha un nome preciso: omicidio


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