Monti, sfida finale ai rivali «Non manterranno nulla»

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MILANO — Preferisce il Monti professore, l’economista diventato premier «tecnico» austero, autorevole, un po’ severo. L’abito da «politico a tutti gli effetti» gli piace decisamente meno, nel ruolo di capopolo non si vede neppure lui. «Nel rush finale però cercherò di essere sempre più me stesso», promette. Un ripensamento, forse, della strategia ultrapop in atto. Il tono indulge alla malinconia, eppure i messaggi, quelli, sono pesanti come macigni: «Berlusconi continua a fare promesse cercando di comprare i voti degli italiani con i soldi degli italiani», randella a un certo punto il professore fattosi «politico».
Mario Monti incontra i giovani. La sala del teatro milanese si riempie alla svelta, sul palco, mentre parla, gli fa da corona un gruppo di venti-trentenni. Le promesse alle nuove generazioni, ecco il punto centrale. Il premier cita Alcide De Gasperi e strappa l’applauso: «Le generazioni sono onde diverse dello stesso mare». Per questo è «salito» in politica, racconta assecondando la vena intimista: «Non posso permettere che i sacrifici fatti dagli italiani siano bruciati da un falò di promesse elettorali». Applausi.
Riprende il filo: «All’estero mi chiedevano come mai non chiedessimo l’aiuto del fondo salva-Stati, ma gli italiani ce l’hanno fatta da soli». E poi l’attacco, questa volta bipartisan: «I miei avversari sanno fare bene il gioco della politica. Attacchi giornalieri che attirano attenzione, slogan brevi e incisivi e promesse che non verranno mantenute, e nel caso venissero mantenute creerebbero una situazione ancora più grave. Lascio che altri dicano ciò che le gente vuole sentirsi dire e continuerò a dire quello che penso. Forse per questo nessuno dei miei illustri antagonisti politici vuole un confronto tv con me». Solo un paio d’ore prima, a Tgcom24, aveva dedicato un altro affettuoso pensiero a Silvio Berlusconi: «È verissimo che in Europa temono il suo ritorno perché ne hanno avuto abbastanza di un’Italia che rischia, con la fragilità  politica, l’incapacità  di decidere e la indisciplina finanziaria, di mettere ancora a rischio se stessa, l’Eurozona e l’Europa».
No alle facili promesse fiscali, no ai condoni («Perché non si può incoraggiare gli italiani a evadere ancora di più»), e no secco anche a un Pd strategicamente alleato con Sel («Il segretario democratico è in una coalizione legata alla vecchia politica e piena di contraddizioni e risulta infantile quando mi attacca per i risultati sul vertice europeo)». Monti indulge nei ricordi e rivela come a un certo punto, prima della nuova discesa in campo del Cavaliere, abbia anche accarezzato l’idea di diventare il leader di un’area politica «riformatrice» che avrebbe tenuto insieme Alfano, Casini e Letta.
Ma la tappa milanese doveva servire soprattutto a stoppare una volta per tutte i propositi di voto disgiunto che hanno preso a circolare in vasti settori del suo schieramento. Niente pugno di ferro contro i «dissidenti», ci mancherebbe. Monti parla di scelte personali, dettate dall’esigenza di fermare la Lega in Lombardia. Ma l’obiettivo, non consegnare, appunto, la regione più importante del Paese nelle mani di Maroni (la sala applaude energicamente il passaggio anti-Carroccio), può essere raggiunto solo votando il candidato indicato: «Ognuno ha la sua mente e la sua volontà , ma se mi chiedono chi devono votare i “montiani” in Lombardia la risposta è netta Albertini. Di lui ho apprezzato il periodo da sindaco, il lavoro da parlamentare europeo e ho visto il suo coraggio quando ha resistito alle pressioni di Berlusconi perché si ritirasse». Quanto ad Ambrosoli, «è persona rispettabilissima, ma è un po’ meno collaudato».
L’Ohio d’Italia ai barbari sognanti padani? La replica di Bobo Maroni, via Twitter, è perfida: «Monti non mi vuole in Lombardia, ma mi voleva nel suo governo come ministro dell’Interno».
Dopo i giovani, le donne. Il modello è quello dei town hall meeting, gli incontri pubblici tra cittadini e amministratori, mutuati dall’esperienza americana. «Sono colpito dalla rappresentazione della donna nei media italiani. Se fossi una donna non sarei né lieto né orgoglioso», rivela il premier. Ad ascoltarlo, attentissima, anche l’attrice Valentina Cortese.


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La sua fine è all’orizzonte, coincide con la scadenza della legislatura, e la vede anche lui quando afferma di non voler rimanere «per sempre a palazzo Chigi o leader a vita del centrodestra». Silvio Berlusconi esce dal lungo, fragoroso silenzio che lo aveva accompagnato nei giorni delle elezioni amministrative. Per la prima volta parla agli elettori, in diretta televisiva, con un tono basso, restando stretto nell’angolo in cui lo spingono le sonore e ripetute batoste elettorali, la guerra per bande nel Pdl, le difficoltà  inedite in cui si dibatte la Lega, il fallimento di un programma che torna a ripetere come fossimo al 1994 e diciassette anni non fossero trascorsi presentandogli alla fine il conto. Il lungo elenco dei miracoli rimasti nei sogni (le tasse, la giustizia, le riforme costituzionali, il mezzogiorno) è lo specchio, fedele e implacabile, di un fallimento.

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