«Via metà  delle truppe dall’Afghanistan»

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NEW YORK — «Dobbiamo chiederci ogni giorno come portare posti di lavoro negli Stati Uniti, come dare un’adeguata formazione professionale ai nostri cittadini, come fare in modo che chi lavora duro venga ben pagato: d’ora in poi la mia stella polare sarà  l’impegno per una riscossa del ceto medio». Nel primo messaggio sullo Stato dell’Unione del suo secondo mandato alla Casa Bianca, pronunciato nella notte davanti al Congresso di Washington, Barack Obama si è soffermato anche sul ruolo di primo piano che gli Usa intendono continuare a svolgere nel mondo pur in un contesto di ridotto impegno militare: dal dimezzamento entro un anno delle truppe americane in Afghanistan (34 mila dei 66 mila soldati rimasti rientreranno entro il prossimo gennaio) a un ulteriore taglio delle testate nucleari da realizzare dopo un nuovo accordo con la Russia.
Ma, tracciando il sentiero che intende seguire nell’azione di governo, si è in gran parte concentrato sui problemi economici e sociali interni: lotta alla disoccupazione, regolarizzazione degli immigrati clandestini, misure per proteggere le imprese e i cittadini dagli attacchi informatici, maggiore tutela dei diritti civili e della «privacy», controlli per le armi da fuoco, più equità  fiscale eliminando alcuni «sconti» sulle imposte di cui oggi godono soprattutto i ricchi. E poi rilancio delle misure, a lungo trascurate, per la tutela ambientale e uno sforzo per contenere il debito che passi anche attraverso la riduzione della spesa, ma in modo graduale e senza tagli drastici che danneggerebbero l’economia.
Scriviamo quando Obama non ha ancora pronunciato il suo discorso davanti al Congresso, ma i collaboratori del presidente hanno già  anticipato informalmente i toni e parte dei contenuti di un messaggio che integra e completa il discorso inaugurale pronunciato il 21 gennaio sulla scalinata del Campidoglio. Indicando una serie di iniziative per creare lavoro, proteggere le imprese, migliorare la scuola che, ha promesso solennemente il presidente, non costeranno un dollaro in più di deficit agli americani.
Tradizionalmente quello sullo Stato dell’Unione è un intervento più operativo, un momento nel quale il presidente dialoga direttamente col Congresso. Col partito di opposizione che gli risponde subito dopo: stavolta i repubblicani hanno affidato il loro «contromessaggio» al senatore Marco Rubio. Ma la tecnologia delle comunicazioni ha cambiato anche questo aspetto della comunicazione presidenziale ed ora dalla Casa Bianca spiegano che il presidente vede in questo appuntamento un’occasione preziosa per parlare al Paese e al mondo direttamente, senza filtri e mediazione, in un’era di moltiplicazione dei «media» che producono un rumore di fondo assordante.
Il messaggio è stato quello di una politica di moderato rigore unita a un’azione specifica di tutela dei ceti più deboli. L’obiettivo di fondo è quello di una riscossa sociale della «middle class» che, nella visione di Obama, è la struttura portante della democrazia americana. Ceti sotto pressione da anni per i mutamenti dell’economia e del lavoro imposti dalla globalizzazione e dallo sviluppo delle nuove tecnologie, ma anche per l’adozione di politiche fiscali distorte.
Politiche che ora Obama intende correggere. Come? Vedremo le proposte concrete, ma i primi indizi sono già  nei tre viaggi che il presidente ha messo in calendario per oggi, domani e dopodomani, proprio per trasformare il suo messaggio in un dialogo con gli americani. Oggi Obama sarà  ad Asheville, in North Carolina, dove, a quanto si sa, definirà  meglio le sue proposte per l’immigrazione e la creazione di posti di lavoro. Domani in Georgia parlerà  d’istruzione, forse con la promessa di integrare la scuola pubblica dell’obbligo offrendo programmi di «kindergarten» a carico dello Stato per i bimbi di 3 e 4 anni delle famiglie bisognose.
Venerdì, poi, Obama andrà  nella sua Chicago, dove parlerà  ancora di lavoro ma soprattutto di armi da fuoco, nel ricordo di Hadiya Pendleton, la quindicenne uccisa per sbaglio dai ragazzi di una gang giovanile appena tornata dalla celebrazione dell’insediamento del presidente.


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