L’ultima lezione di Benedetto XVI «Resterò nascosto al mondo»
«Adesso mi ritiro, ma nella preghiera sarò sempre vicino a tutti voi. E sono sicuro che anche tutti voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimango nascosto…». Come se nel mondo moderno fosse davvero possibile nascondersi, come se la solitudine morale in cui il Papa è stato lasciato potesse diventare solitudine fisica. I parroci romani si commuovono all’idea che il loro vescovo si sottragga per sempre alla loro vista già da vivo, gridano «viva il Papa!», lo applaudono, gli fanno ampi gesti di saluto, combattuti tra l’affetto per il Pontefice e il disorientamento per il sovrano che abdica. Lui capisce il loro turbamento, e per tranquillizzarli improvvisa, parlando a braccio, un aneddoto; come farebbe un padre che racconta ai figli una storia all’inizio paurosa ma dal finale lieto.
«Il cardinale di Colonia, Frings, mi commissionò un testo — allora ero il più giovane professore dell’università di Bonn — da portare a un convegno a Genova, organizzato dal cardinale Siri. Titolo: “Il Concilio e il mondo del pensiero moderno”. Frings lo lesse così come io l’avevo scritto. Poco tempo dopo, papa Giovanni lo mandò a chiamare. Lui era pieno di timore di aver detto qualcosa di falso e di essere interpellato per un rimprovero…». Qui la platea dei parroci è pervasa da un fremito di terrore pensando alla severità di Siri e all’idea che potesse aver segnalato al Papa le eresie del giovane teologo. «Il cardinale Frings temeva che il Papa volesse togliergli la porpora. Così, mentre il suo segretario lo vestiva per l’udienza, disse: “Forse è l’ultima volta che porto questa roba…”». Ora i parroci scoppiano a ridere, e Benedetto XVI li guarda con un sorriso complice. «Poi Frings entra, papa Giovanni gli va incontro, lo abbraccia e dice: “Eminenza, grazie! Lei ha detto cose che io volevo dire, ma non avevo trovato le parole”. Così il cardinale mi invitò ad andare con lui al Concilio…». Ora i parroci applaudono con il volto rigato di lacrime.
Dice proprio così, Benedetto XVI: «Per il mondo rimango nascosto». Vorrebbe scomparire alla vista, sottrarsi alla vita pubblica. È un’espressione che provoca sgomento tra gli arcipreti delle grandi basiliche e i curati delle periferie, i canonici che vegliano il corpo di Sant’Agnese e i preti di borgata. Per loro Ratzinger non è solo il Pontefice, è anche il vescovo, e più in generale la sola autorità che molti riconoscano, nella città del Papa Re. Sono appena stati a confessarsi sulla tomba di San Pietro. E ora sono qui per una lezione sul Concilio Vaticano II. Non a caso è stata preparata una cattedra, dietro cui siede il Papa, arrivato con le proprie gambe senza aiuti che non fossero il bastone. Lui all’inizio si schermisce: «Viste le mie condizioni e la mia età , non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare. Penso piuttosto a una piccola chiacchierata sul Concilio, come io l’ho visto». In realtà , Ratzinger parlerà per un’ora, a braccio, ai suoi consueti altissimi livelli intellettuali, sia pure con voce flebile, per cui a un tratto deve intervenire un gentiluomo vaticano ad avvicinargli il microfono, per il sollievo dei parroci ancora combattuti ma stavolta tra il fascino dell’eloquio e la sua complessità .
Si capisce benissimo che il tema a Ratzinger piace parecchio, sia perché gli ricorda la giovinezza — «eravamo così pieni di gioia all’idea che la Chiesa si confrontasse con la modernità , con i nostri amici ebrei, con una nuova liturgia…» — sia perché stimola il cimento delle intelligenze. Per cui si inoltra nel confronto tra le diverse interpretazioni dell’Enciclica Mistici Corporis Christi di Pio XII, parla dell’«alleanza renana» tra vescovi francesi, tedeschi e olandesi, la collega con le posizioni della Chiesa gallicana nel precedente Concilio Vaticano I. Quando poi ricostruisce minuziosamente il dibattito tra i padri conciliari sull’ecclesiologia, i sacerdoti romani si sporgono sulla sedia e si consultano tra loro per reggere il ritmo vorticoso dei ragionamenti del Papa ottuagenario e dimissionario.
C’è un punto però su cui Ratzinger è chiarissimo, a tratti anche duro. I Concili sono stati due: quello della Chiesa, e quello dei media; quello reale, e quello virtuale. Purtroppo «il mondo ha percepito il Concilio tramite i media. Quindi il Concilio che è arrivato alla gente è stato quello dei giornali, non quello dei padri. E mentre i padri si muovevano all’interno della fede, i giornalisti si muovevano all’interno delle categorie politiche», destra e sinistra, conservatori e progressisti, «come se fosse in corso una lotta di potere tra correnti». Il fraintendimento ha causato «banalizzazione della liturgia, riduzione della Scrittura a libro storico, monasteri chiusi, seminari vuoti». Però «la forza reale del Concilio man mano sempre più si realizza e diventa vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa». Secondo Benedetto XVI non occorre oggi un altro Concilio, ma una corretta interpretazione e applicazione di quello chiuso aperto cinquant’anni fa. «Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: vince il Signore».
Alla fine l’applauso che chiude la «piccola chiacchierata» è interminabile. E stavolta il Papa se lo gusta tutto, senza interromperlo come aveva fatto l’altro ieri a San Pietro. I parroci lo fotografano con ogni mezzo disponibile, compresi iPhone e iPad. Il vicario di Roma Vallini si inginocchia a baciargli l’anello per l’ultima volta; domani toccherà a Bagnasco e ai vescovi liguri, sabato a Scola e a quelli lombardi. Il Papa ringrazia con gesti e sorrisi brevi. Poi chiude l’udienza con il canto del Padre Nostro. In latino, naturalmente.
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