by Sergio Segio | 1 Febbraio 2013 7:40
ROMA — «Credo sia giunto il momento di smetterla con l’indignazione improvvisata», dice il presidente di Magistratura democratica Luigi Marini, uno dei leader delle cosiddette «toghe rosse», che da due anni guida la corrente più a sinistra dell’associazionismo giudiziario. «Non è possibile — spiega — che ogni volta che uno di noi sceglie di entrare in politica, la politica si scandalizza, con relative levate di scudi. Il problema esiste, e noi lo sosteniamo da tempo, ma la responsabilità è di chi fa le leggi e non si preoccupa di risolvere la questione prima, non dopo i casi che suscitano polemiche a volte francamente strumentali. Mettessero delle regole giuste e chiare, siamo noi i primi a volerle».
Il congresso di Md che s’è aperto ieri a Roma s’intitola «Quale giustizia al tempo della crisi — Come cambiano diritti, poteri e giurisdizione», ma il tema dei giudici e pubblici ministeri che si smettono la toga per candidarsi al Parlamento o addirittura a Palazzo Chigi è nell’aria. Inevitabile affrontarlo, soprattutto dopo «discese in campo» rumorose come quella di Antonio Ingroia, che di Magistratura democratica è stato un esponente di spicco. «Della sua vicenda però non parlo perché non voglio interferire con la campagna elettorale», si schermisce Marini. Lui e la sua corrente, però, avevano detto molto prima della scelta dell’ex pm di mettersi alla guida di Rivoluzione civile, quando ancora coordinava le indagini sulla presunta trattativa fra Stato e mafia; criticando senza mezzi termini «l’inopportunità della ricerca esasperata di esposizione mediatica, anche attraverso la sistematica partecipazione al dibattito, da parte di magistrati che approfittano dell’autorevolezza e delle competenze derivanti dallo svolgimento della attività giudiziaria».
L’ormai ex segretario di Md, Piergiorgio Morosini, è il giudice davanti al quale si sta svolgendo l’udienza preliminare sulle richieste di rinvio a giudizio degli imputati nel processo sulla trattativa; per questo, subito dopo l’assegnazione di quel fascicolo, s’è sospeso dall’incarico. Al congresso svolge ugualmente la relazione d’apertura, per dare conto del lavoro di due anni, ma «per motivi di opportunità » sorvola sulla parte che aveva scritto prima dell’autosospensione dedicata a «l’agire sociale del magistrato e l’impegno politico». Sono pagine che però si possono leggere, e diventano parte integrante del dibattito congressuale. Nelle quali si ribadisce che se da un lato non si possono imporre vincoli al diritto di tutti, magistrati compresi, di entrare nell’agone politico, dall’altro «il tema risente inevitabilmente della diversa e mutata diversità sociale». E allora, «l’opinione è che si debbano elaborare strumenti per garantire un’effettiva e visibile separazione tra l’esercizio dell’attività giurisdizionale e l’esperienza politica (quali ad esempio il divieto di candidarsi nel luogo ove si è esercitata la funzione, o il divieto di fare rientro nei medesimi uffici) per non incorrere in forme più o meno mascherate di conflitto di interessi».
È la posizione fatta propria dal presidente della corrente, Marini, quando se la prende un po’ con gli esponenti politici: «Come per la questione dell’Ilva, si accorgono dei problemi solo quando esplodono, e magari le utilizzano per imbastire qualche campagna pretestuosa contro la nostra categoria». Di qui l’invito a chi governerà nella prossima legislatura: «Aprano subito un tavolo per una discussione seria che porti a regole precise per disciplinare il diritto dei magistrati a svolgere un impegno politico diretto. Siamo noi i primi a volerle, e siamo pronti a dare il nostro contributo».
La proposta delle «toghe rosse» è scritta in uno dei documenti congressuali: «Il punto di equilibrio potrebbe essere raggiunto attraverso la previsione di un obbligo di un distacco temporale o territoriale tra l’esercizio di funzioni giudiziarie e l’impegno politico, adeguate a salvaguardare i diritti elettorali del magistrato e la giurisdizione medesima da possibili conflitti d’interesse». Se il divieto di rientro nei palazzi di giustizia dopo la conclusione del mandato elettorale è probabilmente incostituzionale, anche su questo aspetto dei limiti «ragionevoli» vengono considerati «legittimi».
In attesa della soluzione legislativa, il presidente Marini ribadisce i principi a cui dovrebbero attenersi i magistrati per partecipare anche al solo «dibattito» politico: «Ci vuole senso di responsabilità per evitare confusioni tra il ruolo che si svolge e le opinioni che si esprimono, senza sovrapporre l’attività professionale all’esternazione delle idee. Il cittadino deve poter distinguere con chiarezza se ha davanti un giudice o l’aderente a uno schieramento».
Giovanni Bianconi
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