L’ira di Bersani: così salta l’alleanza

by Sergio Segio | 3 Febbraio 2013 9:15

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A un futuro dialogo con Monti, il segretario del Pd non vuole rinunciare. Ma la sequenza di attacchi mossi dal presidente del consiglio ai Democratici sta lasciando il segno. Lo ha lasciato nel segretario e in tutto lo stato maggiore di Largo del Nazareno. Una crepa che rischia di compromettere un’intesa che per molti appariva «predestinata».
E COSàŒ ieri pomeriggio lo stesso Bersani ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie per frenare l’ira dei “big” del partito.
In moltissimi, infatti, lo hanno chiamato mentre stava a Piacenza e tutti si sono lamentati del Professore. La risposta, però, stavolta è stata molto meno prudente che in passato. Ha dovuto ammettere che a questo punto i rapporti con “Mario” si stanno «sfilacciando». E non per colpa del Pd. L’ultimo fendente di Monti sul lavoro viene considerato una «provocazione ». Un tema «sensibile» per un partito a cui Bersani ha voluto dare una fisionomia laburista. Cosa significa, infatti, quell’invito a una flessibilità  hard, se non ripristinare l’articolo 18 com’era nella bozza di riforma Fornero, prima che il Pd ottenesse il compromesso?
Non è però solo il lavoro che avvelena i rapporti tra Bersani e Monti. Resta una ferita aperta l’attacco sul Monte dei Paschi di Siena. Aver messo in discussione l’«etica» dei partiti e la battuta sull’anagrafe del Pd («Voi, nati nel 1921») hanno fatto imbestialire il segretario democratico. Criticare la correttezza dei comportamenti è a suo giudizio «inaccettabile». «Attenzione, – ha ripetuto allora Bersani ai suoi interlocutori – si rischia di arrivare a un punto di non ritorno nel rapporto tra il Professore e noi». Se anche lui tiene a non precludersi l’alleanza – è il ragionamento del segretario – deve cambiare strategia. È fin troppo evidente che in questo modo «si vengono a creare fratture che difficilmente si ricompongono».
Soprattutto trova incomprensibile non concentrare gli attacchi sul centrodestra. I «veri nemici», è la sua bussola, sono Berlusconi e la Lega: bisogna battere loro, senza concessioni a populismi di alcun genere. Invece sembra che Monti strizzi l’occhiolino all’elettorato berlusconiano, e per questo abbia messo nel mirino il centrosinistra. Di certo il Professore sa di avere toccato con la sua ricetta sul lavoro – e l’affondo contro la Cgil – il tasto più sensibile per la coalizione dei Progressisti. Una sciabolata, che il premier uscente assesta con precisione millimetrica. Eppure, anche nel merito degli argomenti, Bersani non condivide le parole del Professore. Si fa mandare le agenzie di stampa con il programma di Scelta Civica e annota tutti i punti deboli. «Veniamo da 250 mila posti di lavoro persi. Questo è l’esito di una legislatura berlusconiana disastrosa. Parlare di regole del mercato del lavoro è del tutto insufficiente, non permette neppure di cogliere i problemi ». Un po’ come fermarsi al dito senza guardare la luna, che è la scommessa di crescita economica senza smantellare i diritti dei lavoratori. L’idea bersaniana è un’altra: ci vogliono un piano industriale, sgravi delle imposte sul lavoro, allentamento del patto di stabilità , la riforma della giustizia civile, norme anti corruzione efficaci, la lotta alle mafie. Nel cassetto, ripete in questi giorni, c’è già  la bozza dei provvedimenti da portare nei primi consigli dei ministri e che riguardano lo sviluppo: «Non sono le regole del mercato a creare lavoro». Agitare poi le Cancellerie europee e il Fondo monetario internazionale sta infastidendo in modo particolare Bersani. Che infatti sospenderà  per un giorno il tour elettorale, martedì, per incontrare il ministro delle finanze tedesco Schaeuble a Berlino e parlare di Ue al German Council on Foreign Relations. All’Europa e ai suoi leader intende fornire da sé assicurazioni e proposte.
Ma l’irritazione ormai serpeggia in tutti i Democratici, non solo tra i “gauchisti” Damiano e Fassina. E a Largo del Nazareno adesso iniziano a puntare i piedi. «Se Monti vorrà  collaborare, deve tener conto delle nostre posizioni. E deve tener conto di una circostanza: la Cgil è il più grande sindacato italiano». «In democrazia – è il ritornello del segretario – funziona che chi vince dà  le carte». Un messaggio stavolta lanciato con un certo vigore verso Palazzo Chigi.

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