«Ho scelto liberamente. Pregate per me»

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E si rivolge ai fedeli: ho sentito l’amore che mi portate Dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: «Dice il Signore: “Al momento favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salvezza ti ho soccorso”. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!»
L’applauso che saluta il Papa, moltiplicato dalle volte della basilica, pare non finire mai. Smettono i fedeli e cominciano i cardinali, si ferma Ruini e riprende Re, esitano i monaci e si decidono le suore, si incrina la voce di Bertone e piangono i vescovi. Lui resta il solo a non dare segni di commozione. Semmai, di imbarazzo: «Grazie, ora riprendiamo la preghiera». Si è appena tolto un peso che gravava sul suo animo, invitando con parole affilate a riflettere su come «il volto della Chiesa venga a volte deturpato da colpe contro l’unità  e da divisioni del corpo ecclesiale», su come si debbano superare «individualismi e rivalità ». Soltanto alla fine apparirà  sollevato, quasi rinfrancato; e uscirà  sorridendo dallo stesso podio su cui era comparso accigliato. Ha appena colto un altro primato, segnato un altro precedente inedito: ricevere da vivo l’applauso che aveva salutato il suo predecessore da morto.
«Sancti Petre et Paule, Sancte Andrea, Sancte Thoma, Sancti Philippe et Iacobe…». La litania dei santi è la stessa che accompagnò la traslazione del corpo di Wojtyla dalla Sala Clementina alla basilica. Si implorano i martiri – «Sancte Stephane, Sancte Polycarpe, Sancte Hyppolyte…» -, i padri della Chiesa – «Sancte Ambrosi, Sancte Hyeronyme, Sancte Augustine, Sancti Cyrille et Methodi…» – e le sante: «Sancta Paula, Sancta Sabina, Sancta Marcella, Sancta Teresia a Iesu…». Ma non si prega «pro eo», per lui, il defunto, ma «pro nobis», per noi. E’ un lutto comunitario, una responsabilità  collettiva. Non c’è un corpo da vedere, un volto da velare, una bara da seppellire, una tomba su cui piangere; ma c’è un Papa da salutare, cui tutti vogliono dire grazie, qualcuno anche chiedere scusa. Il mercoledì delle Ceneri coincide con l’ultima messa a San Pietro del Pontefice dimissionario. E Ratzinger, che in mattinata ha chiarito di aver deciso «in piena libertà », solo di fronte a Dio, al culmine di «giorni non facili», ora spiega di essersi caricato sulle spalle le colpe di una Chiesa che non è rimasta unita di fronte al male. E di aver sanato con la sua scelta – nel «momento favorevole» – le divisioni, l’esibizionismo «di chi vuole apparire», l’orgoglio vano di «chi cerca l’applauso per sé». Aprendo di fatto un conclave dove 67 cardinali su 117 gli devono la porpora, e tutti riconoscono ancora la primazia intellettuale di un Papa che ha deposto la veste, spezzato l’anello piscatorio, rinunciato ai simboli su cui tanto si soffermano le tv globali ferme alla superficie del fascino vaticano, è insomma uscito dal Palazzo; ma è ancora vivo.
Al mattino, quando pronuncia le prime parole sulle dimissioni in italiano e in pubblico, Ratzinger appare riposato e sicuro. Entra nella sala delle udienze camminando da solo. Saluta i fedeli in tutte le lingue della cristianità  compreso l’arabo, ringrazia la banda bavarese «per le vostre canzoni che mi sono particolarmente care», benedice con la sua gestualità  trattenuta sposi irlandesi, il sindaco di Lourdes, il coro di voci bianche della Louisiana, il gruppo anziani di Ferentino, in un’atmosfera quasi di festa; solo le novizie delle pie discepole del Divin Maestro piangono commosse, consolate dal Pontefice come pure le ancelle del Sacro Cuore di Gesù.
Anche nell’Aula Paolo VI il Papa deve troncare l’applauso dei settemila fedeli: «Grazie per la simpatia». Si trae rapidamente dall’impaccio di parlare dell’abdicazione: «Come sapete, ho deciso di rinunciare… Ho fatto questo in piena libertà  per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo e aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza…». Una scelta compiuta in piena consapevolezza, prima che le forze lo abbandonassero, prima di dover sconfessare i collaboratori più stretti, in tempo per vedere un successore avviare una nuova stagione. «Ho sentito quasi fisicamente l’amore che mi portate. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà ». Poi parla a lungo del duello tra Cristo e il diavolo, concentrandosi su un tema: la solitudine. La solitudine del popolo di Israele nel viaggio verso la Terra Promessa, di Elia nel cammino verso il monte Oreb, di Gesù nel deserto. La solitudine che espone l’uomo alle tentazioni, ma lo rende capace di resistervi.
Alle 17 e 10, quando entra in San Pietro per la sua ultima celebrazione, il Papa appare invece teso, grave. I segni della senescenza e della cardiopatia – la macchia sulla guancia, le occhiaie marcate – sono più evidenti del mattino. Tutti attorno a lui indossano i paramenti viola del primo giorno di Quaresima. Il palco semovente lo porta sotto il baldacchino, poi lo sorreggono a braccia fin verso l’altare. Lui tiene ad agitare di persona il turibolo per spargere l’incenso, a cospargere i fedeli con l’acqua benedetta dell’aspersorio. Le dimissioni non sono nominate ma evocate: «Le circostanze», «questo particolare momento». Ma le parole con cui richiama la Chiesa all’unità  sono severe: «Il vero discepolo non serve se stesso o il pubblico, ma il suo Signore; la nostra testimonianza sarà  sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria».
E’ l’arciprete della basilica, Comastri, a tracciare sui suoi capelli candidi una croce con le ceneri; il Papa a sua volta cosparge il capo di Bertone e dei fedeli delle prime file, vegliato da padre Georg e dal cerimoniere Camaldo. Di Dio parla con le stesse parole usate da Wojtyla, pochi mesi prima di morire: «Lo vedremo faccia a faccia». Solo dopo il saluto del segretario di Stato la tensione si scioglie in un applauso infinito, che durerebbe ancora a lungo se il Papa non lo interrompesse. Bertone si inchina, tenta di abbracciarlo, invano; per superare l’imbarazzo si china di nuovo a baciargli le mani.
Fino all’ultimo Ratzinger sceglie di non «personalizzare» l’addio, come sarebbe accaduto se l’avesse legato al compleanno, all’anniversario dell’elezione, almeno alla Via Crucis e alla Pasqua. Se potesse uscirebbe in punta di piedi. Deve invece salire ancora sul podio, ma stavolta la folla si protende a salutarlo, qualcuno si inginocchia al suo passaggio, tanti lo fotografano con i telefonini, visto anche un iPad; e lui finalmente saluta, all’inizio inarcando le ciglia e tracciando brevi segni di croce, poi con gesti più ampi e finalmente con il sorriso, prima di andare verso la Pietà  di Michelangelo e scomparire alla vista. E’ questo il suo modo di provare compassione e mostrare gratitudine. Lo si era visto già  alla fine dell’udienza del mattino, quando dopo aver salutato in italiano, francese, spagnolo, portoghese, polacco, croato, slovacco, Ratzinger ha potuto finalmente parlare nella lingua madre; e ai tanti fedeli che gli gridavano «grazie Benedetto!» ha risposto: «Danke fà¼r ihre Aufmerksamkeit», «grazie a voi per l’attenzione».


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