L’EUROPA PERDUTA

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 7:42

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Quando, una decina di anni fa, gli sloveni stavano per entrare nell’Unione Europea, un nostro compatriota euroscettico propose una parafrasi sarcastica di una battuta dei Fratelli Marx sull’utilità  di assumere un avvocato: noi sloveni abbiamo problemi? Entriamo nell’UE! Così avremo ancora più problemi, ma ci sarà  l’UE a occuparsene! È così che oggi molti sloveni vedono l’UE: porta un po’ di aiuto, ma anche nuovi problemi (con le sue regolamentazioni e multe, le sue richieste di finanziare gli aiuti alla Grecia ecc.). Vale allora la pena difendere l’UE? La vera questione è, ovviamente, capire a quale Unione Europea ci riferiamo.
Un secolo fa, Gilbert Keith Chesterton descriveva così l’impasse fondamentale della critica alla religione: «Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà  e della umanità  finiscono col combattere anche la libertà  e l’umanità  pur di combattere la Chiesa. […]». Non potremmo dire lo stesso dei difensori della religione? Quanti fanatici protettori della fede hanno cominciato con l’attaccare ferocemente la cultura laica contemporanea e hanno finito col rinunciare a qualsiasi esperienza religiosa significativa? Analogamente, molti partigiani della causa liberale sono così impazienti di lottare contro il fondamentalismo antidemocratico che finiranno per gettar via proprio la libertà  e la democrazia così da poter combattere meglio il terrorismo. Se i “terroristi” sono pronti a distruggere questo mondo per amore dell’altro mondo, i nostri guerrieri antiterrorismo sono pronti a distruggere il loro mondo democratico per odio dell’altro mondo musulmano. Alcuni di loro amano a tal punto la dignità  umana da essere pronti a legalizzare la tortura, e cioè la somma degradazione di questa dignità .
E non potremmo dire lo stesso anche di quelli che hanno aderito alla recente crociata europea contro la «minaccia dell’immigrazione »? Nel loro fervore di proteggere l’eredità  giudaico-cristiana, i nuovi zeloti sono pronti a sacrificare il vero nucleo di questa eredità : ogni individuo ha un accesso immediato all’universalità  (dello Spirito Santo o, oggi, dei diritti umani e della libertà ); e io posso prendere direttamente parte a questa dimensione universale, indipendentemente dalla mia particolare posizione all’interno dell’ordine sociale globale. Le “scandalose” parole di Cristo nel Vangelo di Luca non puntano forse nella direzione di una tale universalità  che ignora ogni gerarchia sociale? «Se uno viene a me e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie, e i fratelli, e le sorelle, e finanche la sua propria vita, non può esser mio discepolo » (Luca 14:26). I legami familiari rappresentano qui una qualsiasi particolare relazione sociale, etnica o gerarchica, che determina il nostro posto nell’Ordine globale delle Cose.
L’“odio” imposto da Cristo non è quindi l’opposto dell’amore cristiano; ne è bensì l’espressione diretta: è l’amore stesso che ci impone di “slegarci” dalla comunità  organica nella quale siamo nati; o, come disse San Paolo, per un cristiano non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci. Non sorprende affatto che l’apparizione di Cristo fosse considerata ridicola o scandalosa da coloro che si identificavano pienamente con un particolare modo di vivere. Ma l’impasse dell’Europa è ben più profonda. Il vero problema è che la maggior parte di quelli che criticano l’intolleranza verso l’immigrazione, invece di fare leva sul nucleo prezioso dell’eredità  europea, si limitano a celebrare l’infinito rituale della confessione dei peccati dell’Europa, ad accettarne umilmente i limiti storici, e a esaltare la ricchezza delle altre culture. […] Come sfuggire a questa impasse?
Un dibattito che ha avuto luogo in Germania può indicarci la via. Il 17 ottobre 2010 la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato a un meeting di giovani membri del suo partito (l’Unione cristiano-democratica): «Questo approccio multiculturale, sostenere cioè che viviamo felicemente l’uno con l’altro, ha fallito. Ha fallito completamente». Il meno che si possa dire è che è stata coerente, facendo da eco a un precedente dibattito sulla Leitkultur (la cultura dominante) in cui i conservatori insistevano che ogni Stato si basa su uno spazio culturale dominante che i membri di altre culture devono rispettare. Ma invece di fare le anime belle che si indignano per l’emergere dell’Europa razzista annunciata da questo tipo di dichiarazioni, dovremmo guardarci allo specchio e chiederci con spirito critico fino a che punto il nostro multiculturalismo astratto ha contribuito a determinare questa sconfortante situazione. Se non tutte le parti condividono o rispettano gli stessi standard di civiltà , allora il multiculturalismo si trasforma in mutua ignoranza o odio regolamentati per legge.
Lo scontro sul multiculturalismo è già  uno scontro sulla Leitkultur: non tra culture, ma tra visioni diverse di come culture differenti possano e debbano coesistere, sulle regole e le pratiche che queste culture devono condividere se vogliono coesistere. Dobbiamo dunque evitare di farci prendere dal gioco liberale riassumibile nel quesito: «quanta tolleranza ci possiamo permettere?». Dobbiamo tollerare che “loro” impediscano ai loro bambini di frequentare la scuola pubblica, che “loro” obblighino le donne a vestirsi e comportarsi in un certo modo, che “loro” combinino i matrimoni dei figli, che “loro” brutalizzino i gay tra le loro file? A questo livello, ovviamente, non siamo mai sufficientemente tolleranti, oppure lo siamo già  troppo e trascuriamo i diritti delle donne ecc. Il solo modo di uscire da questo stallo è proporre e lottare per un progetto universalista positivo che possa essere condiviso da tutti i partecipanti. Gli ambiti di lotta in cui «non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci » sono molti, dall’ecologia all’economia. […] Allora, forse, l’euroscettico sloveno non ha colto nel segno con la sua ironica citazione dei Fratelli Marx. Invece di perdere tempo nell’analisi di costi e benefici della nostra appartenenza all’UE, dovremmo concentrarci su ciò che l’UE veramente rappresenta. Nei suoi ultimi anni, Freud espresse la sua perplessità  con la domanda: cosa vuole una donna? Oggi la domanda che dovremmo porci è invece: cosa vuole l’Europa? Per lo più agisce da regolatore dello sviluppo capitalistico globale; qualche volta flirta con la difesa conservatrice della tradizione. Entrambe queste vie conducono all’oblio, alla marginalizzazione
dell’Europa. Il solo modo di uscire da questa impasse è che l’Europa rianimi la sua tradizione di emancipazione radicale e universale. Il nostro compito è quello di andare oltre la mera tolleranza verso altri, conquistare una positiva Leitkultur emancipativa che sola può sostenere un’autentica coesistenza e mescolanza di diverse culture, e impegnarci nell’imminente battaglia per questa Leitkultur.
Non limitarsi a rispettare gli altri, ma offrire loro una battaglia comune, perché i nostri problemi più pressanti sono problemi comuni.
(Traduzione di Carlo Salzani) © 2012 © 2013 Adriano Salani Editore S.p.A. Milano

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