LE FERITE APERTE

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Con questa celebrazione è iniziato, come ogni anno, il tempo della penitenza quaresimale ma, caso unico nella storia della chiesa, questa volta è iniziato anche il tempo del discernimento per l’elezione di un nuovo successore di Pietro mentre il predecessore è ancora in vita e nell’esercizio del suo ministero di vescovo di Roma. E papa Benedetto XVI ha voluto che questo passaggio cruciale avvenisse nel segno del pentimento e della richiesta di perdono. Già  lunedì, nel dare l’annuncio sorprendente della sua rinuncia al papato, aveva aggiunto un sincero “chiedo perdono per tutti i miei difetti”. Oggi, l’omelia rivolta ai cardinali, ai vescovi, al clero e ai fedeli di Roma che partecipavano al rito penitenziale in San Pietro è stata anche un esigente richiamo a riflettere su come “il volto della Chiesa venga a volte deturpato da colpe contro l’unità  della Chiesa e divisioni del corpo ecclesiale”. Una riflessione che deve condurre alla conversione e alla rinuncia a ogni comportamento e azione che contrastino con l’unità  voluta dal Signore per i suoi discepoli.
Un papa che si dimette deve interrogarci, anche se ha dichiarato – e noi gli crediamo radicalmente perché Benedetto XVI si è mostrato affidabile – di farlo nella libertà , per il bene della chiesa e per essere giunto in coscienza alla valutazione di insufficienza delle proprie forze. Man mano che passano i giorni, le domande crescono, anche perché il pontificato è stato sovente scosso da eventi che hanno turbato tutta la chiesa e quindi tanto più chi in essa ha ricevuto dal Signore responsabilità  e compiti così particolari. Nel suo primo discorso dopo l’elezione,
Benedetto XVI disse che non aveva programmi ma che voleva servire la comunione e fare di tutto perché la rete della chiesa ormai strappata non fosse lacerata ancor di più ma conoscesse una dinamica di ricomposizione. E invece… la mano tesa ai seguaci di Lefebvre non è stata accolta, la sua esortazione a evitare ricerca di poteri, interessi personali, disonestà  e malaffare economico è stata troppe volte evasa, la sua volontà  di eliminare la sporcizia ha trovato macigni enormi. Conosco abbastanza la persona del papa per affermare che non si è scoraggiato, che non fugge né diserta, ma comprendo la sua fatica, la sua stanchezza e il suo desiderio di mostrare a tutti che non ha mai ritenuto la chiesa come qualcosa di suo, di cui potersi servire, bensì solo e sempre una proprietà  del Signore. L’ho detto e lo ripeto, c’è in Benedetto XVI una capacità  di decentrarsi rispetto a Cristo che molti non sanno neanche cosa sia e quanto costi in termini di abbassamento e anche di svuotamento.
Le parole pronunciate ieri dal papa sono parse dirette alle ferite rese alla comunione ecclesiale dalle tensioni e divisionivissuteall’internostessodella chiesa cattolica e anche tra coloro che sono pastori e hanno in essa un particolare ed essenziale ministero di comunione. Sono parse riecheggiare le parole forti già  usate da Benedetto XVI in altre circostanze riguardo a quello “sbranarsi a vicenda” che pare aver preso piede anche tra cristiani. Basilio di Cesarea, il grande padre della chiesa tanto amato anche dal papa, in un testo dal titolo significativo – “il giudizio di Dio” – stigmatizza severamente le divisioni, le rivalità , le lotte, la ricerca di potere, il carrierismo presenti nella chiesa del suo tempo: «Vedo nella chiesa di Dio grandissimo disaccordo… e i capi, che con giudizi contrapposti lacerano le chiese, turbano il gregge». Devono essere parole ben presenti alla mente e al cuore di Benedetto XVI in questo momento particolarissimo del suo pontificato: ci pare di scorgere nel suo accorato appello all’unità  anche la sofferenza di chi ha visto il proprio ministero di comunione compreso da qualcuno come causa di divisione. Dobbiamo riconoscerlo con la stessa parresia usata dal papa: la chiesa è oggi lacerata da divisioni e contrapposizioni, sovente si registra anche una confusione che non permette alla comunità  ecclesiale di pervenire pur con fatica a quell’unanimità  possibile, mai piena ma sempre da ricercarsi, in modo da essere reale comunione animata dall’amore ed essere testimonianza e profezia per il mondo.
Questo dato non è solo fonte di sofferenza, ma anche opportunità  di ritorno al Signore, di discernimento della volontà  di Dio: ogni volta che nella storia appare con maggior chiarezza il segno della croce di Cristo, le forze avverse alla logica scandalosa della croce si scatenano. È stato così nei confronti di Gesù, è stato, è e sarà  così di fronte alla chiesa ogniqualvolta questa cerca di essere più fedele al suo Signore. E in questi anni recenti abbiamo purtroppo assistito anche allo svelamento di una cattiveria che sembra regnare di diritto anche nello spazio ecclesiale ed essere utilizzata come strumento per prevalere sugli altri, per delegittimarli. Io stesso più voltel’hodenunciatocomeilmalepiù evidente nell’attuale tessuto ecclesiale.
Credo che questa liturgia penitenziale conclusiva del ministero petrino di Benedetto XVI possa allora essere accostata a un altro grande segno evangelico lasciato dal suo predecessore: la liturgia del perdono celebrata in San Pietro per la quaresima dell’anno giubilare. Allora come oggi, il successore dell’umile pescatore di Galilea riconduce la chiesa intera ai piedi della croce per implorare il perdono di Dio e per intraprendere ancora una volta il cammino di conversione verso l’unico Signore: discernere e confessare il peccato, infatti, è condizione essenziale per ritrovare, per pura grazia, la vera identità  propria.


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