L’avvocato che amava la libertà  e predisse le squadre della morte

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«Ci sono gruppi all’interno di Ennahda («Rinascita», la formazione politica alla testa della coalizione al governo, ndr) che incitano alla violenza», aveva dichiarato martedì sera alla televisione locale Nessma. Con tanto di riferimento diretto a Rachid Ghannouchi, l’anziano leader storico di Ennahda, da lui accusato di difendere le squadracce dei fondamentalisti salafiti. E una considerazione preoccupante: «Chiunque critica Ennahda può essere vittima di violenza». Quasi una profezia. Un epitaffio per se stesso. La mattina dopo cadeva colpito da tre o quattro proiettili sparati a bruciapelo alla testa e al collo.
Nessuno scampo per questo Matteotti tunisino. Nato nella capitale 48 anni fa, studia da avvocato e si unisce ancora studente universitario ai circoli della sinistra militante della facoltà  di Legge. Si impegna prestissimo nella lotta per la difesa dei diritti umani calpestati dal regime di Zine Al Abidine Ben Ali. Laico sino in fondo non si tira indietro neppure quando viene chiamato dai compagni tra i ranghi dell’opposizione a difendere in tribunale i militanti dei Fratelli Musulmani. «L’aspetto assurdo della sua generosità  è che solo qualche anno fa difendeva gli stessi estremisti che oggi l’hanno assassinato», commentano sarcastici alla redazione del giornale in lingua francese Le Quotidien. Interrogato ripetutamente dalla polizia di Ben Ali, partecipa d’impeto alla rivoluzione due anni fa. Appartiene per cultura e impegno alla grande tradizione della sinistra laica tunisina, considerata tra le più radicate e importanti tra i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa. Così è inevitabile la sua scelta di schierarsi in ogni modo contro il nuovo governo quando il fronte islamico vince le elezioni nell’ottobre 2011. Ennahda fa paura alla Tunisia laica. Crescono i casi di attacchi contro le studentesse che non portano il velo nelle scuole e nei campus. Ghannouchi si dice «moderato», «diverso» dai gruppi salafiti. Pure, la nuova stampa libera denuncia i sempre più numerosi casi di intolleranza integralista. C’è l’influenza dell’Egitto, spaventa l’involuzione della situazione in Libia. Nel mondo degli artisti e del teatro, da sempre francofono e profondamente influenzato dalle avanguardie europee, paventano i casi di attacchi contro le gallerie d’arte. Crescono anche i casi di intolleranza contro i media. Nel solo mese di gennaio 50 reporter tunisini hanno subito aggressioni di vario tipo. E spesso la polizia è rimasta solo a guardare.
Belaid non si tira indietro. Alla fine della scorsa estate diventa segretario del Partito dei Patrioti Democratici, una vasta coalizione di opposizione. Inevitabili arrivano contro di lui le minacce di morte. Ieri le hanno ricordate alla stampa anche la moglie e il fratello. «Lui in particolare metteva in guardia contro i Comitati per la Protezione della Rivoluzione, che sono composti da estremisti protetti da Ennahda. E mio marito è stato minacciato di continuo. Ma le autorità  non hanno mai fatto nulla. Gli hanno solo risposto che ciò era inevitabile se si ostinava a criticare Ennahda», ha dichiarato la moglie. La famiglia ha fatto sapere di non volere alcun esponente del governo ai funerali che si terranno oggi pomeriggio.


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