L’AMBIGUITà€ DELL’ISLAM
Quella che punta il dito, indicandolo come mandante, contro Ennahda, il partito islamista che guida il governo. Del resto, poche ore prima della sua morte, Belaid aveva denunciato il clima di violenza che attanaglia la Tunisia, attribuendolo proprio allo scontro interno a Ennahda. Il partito di Gannouchi, che ha vinto le elezioni dell’ottobre 2011 e afferma di non volere costruire uno Stato islamico ma semmai uno Stato “religiosamente ispirato”, è dilaniato dal conflitto tra quanti vedono nella democrazia un valore in sé e quanti la ritengono solo un mezzo per realizzare gli obiettivi dell’Islam politico. Un’ambiguità irrisolta, che ha scontentato sia i laici, ostili a qualsiasi deriva di matrice religiosa, sia gli islamisti duri e puri.
Nella situazione attuale, caratterizzata da una forte tensione politica e da una crisi economica durissima, molti avevano interesse a innalzare lo scontro. Compresi pezzi di apparati, nuovi e vecchi, in corso di posizionamento e in cerca di nuovi padroni e oggetto delle mire delle diverse correnti islamiste, decisi a fare saltare gli equilibri attuali: paralizzanti per i primi e troppo sbilanciati sul versante islamico per i secondi. È a questa sorta di strategia della tensione in salsa tunisina che si riferisce Ghannouchi, quando attribuisce il delitto a “forze sovversive”. Certo è che Belaid era un Nemico per quelle frange del salafismo che criticano il legalismo di Ennahda e potrebbero aver deciso di alzare il livello dello scontro per provocare quel “bagno di sangue”, evocato per essere esorcizzato dallo stesso Ghannouchi, capace di precipitare il Paese nella guerra civile. Una resa dei conti perseguita dagli estremisti teorici del “leninismo religioso” in quanto levatrice di un nuovo ordine islamico. Per la galassia salafita l’esperimento di Ennahda, che ha guidato un governo di coalizione con forze non islamiste, è da rigettare in quanto non può condurre all’instaurazione di uno Stato islamico. Nelle università così come nella mobilitazione contro i movimenti delle donne o quelli per i diritti civili, i salafiti hanno sempre cercato di “stanare” Ennahda, mostrando come il suo “revisionismo islamico” non sia conciliabile con le parole d’ordine dell’Islam politico.
Schiacciato tra la reazione dell’opposizione laica e la pressione salafita, Ennhada è divenuta preda della sua irrisolta ambiguità . Tollerando al suo interno correnti che tallonano i salafiti sul loro stesso terreno. Non è un caso che le violenze di questi mesi siano opera di elementi della Lega di difesa della Rivoluzione, milizia fiancheggiatrice del partito, in cui gli elementi più radicali hanno avuto mano libera. Una violenza quanto meno tollerata dal ministero dell’Interno, guidato da un esponente di Ennhada e che ha avuto come bersaglio privilegiato proprio Nidaa Tounes, la formazione politica di Belaid.
La famiglia di Belaid e alcuni settori dell’opposizione ritengono che il mandante dell’omicidio sia Gannouchi, ma, al di là della fondatezza dell’accusa, certo è che il vecchio leader, noto per le sue caute posizioni, non pare in grado di controllare le varie anime del partito, in particolare quella che insegue i salafiti sul terreno del “gergo dell’autenticità ”.
La durissima protesta dell’opposizione tunisina, che sottolinea questo dato politico, si è già tradotta in crisi istituzionale dopo la sua decisione di far dimettere tutti i suoi rappresentanti dall’Assemblea costituente, la proclamazione di uno sciopero generale, l’annuncio della nascita di un nuovo governo tecnico, dopo l’immediato scioglimento di quello di coalizione seguito alle proteste, da parte del premier Jebali. A questo punto gli obiettivi per l’opposizione sono nuove elezioni politiche e il varo di una costituzione ancorata a principi laici. Un processo per nulla scontato. Si apre così, alle porte di casa, una crisi che può avere un forte impatto, sotto il profilo politico, oltre che sul versante della sicurezza e dei flussi migratori, anche sull’Europa.
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