La vittoria non canta

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Si usa per riverire e traduce alla perfezione i sentimenti che attendevano il presidente francese a Timbuctu. Benvenuto nella città  dei 333 santi, più uno. Quale neo-colonialismo, quali oscure finalità , quale uranio questione di vita o di morte per le centrali nucleari francesi, quale guerra senza immagini né testimoni. L’«Operazione Serval» ha liberato (quasi) tutto il nord Mali dal giogo della sharia , la gente torna a vivere (come può) e per quanto disgregato e screditato lo stato centrale torna sovrano. Obiettivo numero uno raggiunto. Ora, dopo aver platealmente disatteso la promessa che «mai truppe combattenti sul terreno», la Francia non aspira a restare: gli africani si sbrighino a prendere il testimone e togliamo il disturbo, anche considerando quel che costa lo scherzo.
In termini umani una vittima francese e un numero imprecisato dall’altra parte. Ma, ancorché non terminata, la guerra lascia intatti i problemi di cui parlano le vendette sommarie seguite al passaggio della Legione straniera e la questione tuareg che è all’origine di tutto. Al massimo ha dato un calcio al vespaio jihadista: i miliziani hanno riguadagnato la via di casa, oppure via a zig zag – sognando In Amenas – sulle frontiere instabili del Sahara, o ancora sono spariti nell’Adrar degli Ifoghas, l’immensa regione montuosa che si apre a nord di Kidal.
Se non da lì, le prossime grane potrebbero venire proprio dal dispiegamento della Misma, perché gli ufficiali golpisti di Ahmadou Sanogo, più sensibili agli Usa che a Parigi, soffriranno la presenza di più eserciti stranieri, per di più dei paesi vicini, con quel che segue in termini di intolleranze regionali e vecchie ruggini etno-politiche. Hollande le malienne ieri ha comunque passato in rassegna le truppe e la popolazione in festa. È stato sì oggetto di molti canti, ma ha evitato a sua volta di cantare vittoria. Sa bene che non sta bene. Bush in Iraq nel 2003 e Sarkozy a Tripoli nel 2011 insegnano.


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