La valanga di no al governissimo

by Sergio Segio | 28 Febbraio 2013 8:31

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Ma il problema del segretario e candidato a Palazzo Chigi è che la trincea potrebbe ritrovarsi sotto gli attacchi non dei nemici ma degli alleati: quelli acquisiti e quelli potenziali. Il «fuoco amico» di alcuni settori del Pd è già  cominciato, perché l’idea di cercare l’aiuto parlamentare di Beppe Grillo è vista con un misto di speranza e scetticismo.
D’altronde, dal Pdl arrivano aperture nette quanto interessate; dal capo del Movimento 5 Stelle, invece, risposte brutali e liquidatorie al corteggiamento guardingo cominciato da Bersani. Il segretario del Pd si sente proiettato verso Palazzo Chigi, magari a capo di un governo minoritario. Ma si ha l’impressione che nel suo partito qualcuno lavori in direzione opposta: una coalizione di emergenza con o senza di lui premier, dopo il risultato numericamente vittorioso ma politicamente perdente del 25 febbraio. Per paradosso, le parole abrasive di Grillo contro Bersani fanno pensare che anche il comico voglia spingere la sinistra nelle braccia di una specie di «governissimo».
Il comico che ha trionfato nelle urne conta di potere approfittare meglio, restando da solo, dell’immagine dell’«inciucio» altrui. Per questo Bersani prova ad abbracciarlo, nella speranza che il grillismo possa essere, se non addomesticato, almeno usato a intermittenza per trovare una maggioranza. Ma la divergenza di impostazione nel Pd è vistosa. L’analisi del gruppo dirigente intorno al segretario parte dalla premessa che Berlusconi non sia un alleato «digeribile». Di più: il capo di ciò che resta del centrodestra è considerato delegittimato e destabilizzante per la sinistra. Si teme che qualunque dialogo con lui divida e regali un ulteriore vantaggio a Grillo e alla sua strategia di smantellamento del sistema politico.
Per questo il «no» di Bersani rimane granitico, al momento. Eppure, la pressione di dirigenti come Massimo D’Alema tende a rovesciare il ragionamento; e a riesaminare questa posizione di chiusura totale. L’obiezione è che una maggioranza di fatto nelle mani dei grillini porterebbe diritto alle elezioni anticipate entro un anno, regalando al Movimento 5 Stelle un bel vantaggio. In nome di un realismo che d’istinto lascia stupefatti, si addita invece una soluzione finora impensabile: un governo di tregua col Pdl destinato, in teoria, a durare cinque anni, ad approvare riforme radicali e a logorare il movimento di Grillo. Secondo questo schema, una tregua darebbe tempo ai partiti per fermare l’onda che minaccia di spazzarli via.
Bersani non sembra disposto ad assecondarlo, però. Anzi, è attestato su una strategia che prevede una sorta di «grillizzazione» della sinistra almeno su alcuni temi: legge sul conflitto di interessi, taglio ai costi della politica, norme radicali anticorruzione. Significherebbe approfondire il solco con il fronte berlusconiano e con i centristi di Mario Monti; e preparare un programma elettorale che dovrebbe, almeno nelle intenzioni, calamitare una parte del voto del Pd andato a Grillo. Su entrambi gli scenari pesa tuttavia un’ombra di precarietà  e di incertezza ineludibili; e la convinzione che i paradigmi del passato non funzionano più. Né si può sottovalutare lo sguardo severo e un po’ sprezzante di una parte dell’Europa. Per quanto inaccettabili, i giudizi dei socialdemocratici tedeschi su Berlusconi e Grillo bollati come «clown» segnalano un umore ben presente nelle opinioni pubbliche nordeuropee.
Dicono a Bersani che il Movimento 5 Stelle non suscita meno allarme del Cavaliere, anzi. Soprattutto, lasciano capire che dopo le ultime elezioni politiche, l’Italia potrebbe tornare ad assumere il ruolo di capro espiatorio delle difficoltà  europee. È triste azzardare questa tesi, ma gli attacchi tedeschi confermano che parlare male del nostro Paese può tornare utile a chi vuole prendere voti facili in Germania. I confini fra politica interna ed estera non esistono più. E una nazione ingovernabile è candidata a diventare il bersaglio non solo dei propri cittadini, ma di una comunità  europea a caccia di responsabilità  altrui. La ricetta contro i populismi non esiste ancora. Inseguirli, però, difficilmente aiuterà  a sconfiggerli.

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