La tenuta dopo le urne un’incognita per gli stranieri
L’indifferenza dei fondi L’economista Gros: per gli hedge fund l’ex premier non è un problema. Sul fisco qualsiasi governo dovrà seguire la linea Ue Non è semplice trovare qualcosa che metta tutti d’accordo in Europa. A meno che non si parli di un possibile ritorno al potere di Silvio Berlusconi. Stavolta non è un fatto personale: giornali e tv europei e americani riportano le preoccupazioni crescenti delle cancellerie sulla tenuta sostanziale del sistema Italia e sulla sua governabilità post elezioni. Helmar Brok, 66 anni, è un europarlamentare di lungo corso del Partito popolare europeo, di cui fa parte anche il Pdl berlusconiano. Viene dalla tedesca Cdu ed è considerato un po’ il portavoce politico del cancelliere Angela Merkel a Bruxelles. Non potrebbe essere più esplicito: «La mia opinione personale coincide con il sentimento dominante e trasversale ai partiti qui a Bruxelles. Se vuole reggere l’Italia deve continuare sulla strada intrapresa da Mario Monti. Sappiamo che non è facile fare le riforme che sono necessarie. Ma non abbiamo altra scelta, se vogliamo porre le basi di un ciclo di crescita». «L’Economist» di questa settimana si richiama, in modo più o meno consapevole, al film di Sergio Leone, sostenendo che gli italiani, davanti alla prospettiva di un crollo rovinoso, debbono scegliere tra il «buono» (Monti), il «cattivo» (Berlusconi) e «il largamente accettabile» (il «bello» evidentemente è stato giudicato eccessivo per Pier Luigi Bersani).
Stati Uniti ed Europa sembrano attraversati da due correnti: i sostenitori di Monti (per stima personale, per affinità o per necessità ) e quelli di Bersani. La stampa americana di taglio liberista, a cominciare dal «Wall street Journal», ha scelto da tempo il «Professore». Ma Monti riscuote consenso o perlomeno un interesse in ambienti eterogenei, come si è visto a fine gennaio al World economic forum di Davos. Si va da Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale, all’economista radical Joseph Stiglitz, a Mark Carney, governatore della Banca centrale canadese.
Il «rischio Berlusconi» sta mobilitando anche il versante opposto dello schieramento politico. Sabato 9 febbraio si sono riuniti a Torino i principali leader socialisti e laburisti europei, ospiti della Fondazione di studi progressisti europei, presieduta da Massimo D’Alema. Ovazioni ogni volta che qualcuno attaccava Berlusconi. Fisiologico, d’accordo. Il punto è che al convegno si sono espressi con gli stessi toni anche primi ministri europei, cioè potenziali interlocutori del Cavaliere, come il francese Francois Hollande, il belga Elio Di Rupo («Berlusconi riporterebbe l’Italia verso il baratro»), il romeno Victor Ponta («non posso immaginarmi l’Italia di nuovo con Berlusconi, come non posso immaginarmi la Romania di nuovo con Ceausescu»). In sostanza è come se moderati e progressisti, in Europa come negli Stati Uniti, si fossero dati appuntamento sotto un immaginario cartello con la scritta «vietato l’ingresso a Berlusconi». Martin Wolf, editorialista di punta del «Financial Times» osservava, conversando qualche giorno fa con il Corriere, che date queste premesse, la coalizione tra Monti e Bersani potrebbe diventare «una soluzione europea» quasi obbligata per l’Italia.
L’ex premier non ha dunque alcuna carta da spendere? L’unico versante da cui non arriva ostilità , ma solo indifferenza (e con questo clima è già qualcosa) è, paradossalmente, proprio la finanza internazionale. Riferisce l’economista Daniel Gros, direttore del Ceps (Centre for european policy studies) di Bruxelles: «In queste settimane ho parlato della situazione italiana con diversi gestori di hedge fund (fondi di investimento su scala mondiale ndr). L’idea dominante è che Mario Monti sia il risultato di una bolla mediatica e che alla fine prenderà al massimo il 15% dei voti, diventando uno dei tanti politici italiani. E se gli elettori dovessero richiamare Berlusconi, poco male. Tanto sul piano del consolidamento fiscale qualsiasi governo italiano non avrà altra scelta se non seguire la linea imposta dall’Europa».
Giuseppe Sarcina
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