La Russia rivaluta Stalin e gli restituisce la sua città 

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MOSCA — Per i tedeschi quel nome era un incubo. A Stalingrado era finita l’invincibilità  della Wehrmacht e per la prima volta un feldmaresciallo era stato catturato dal nemico con tutti i suoi uomini. Per i russi fu l’inizio della riscossa. Dopo mesi di ritirata, con milioni di uomini caduti prigionieri, a Stalingrado l’Armata Rossa aveva sferrato una controffensiva micidiale. Da quel momento l’iniziativa rimase quasi costantemente nelle mani sovietiche, fino alla Cancelleria del Reich a Berlino.
Oggi la resa delle truppe tedesche accerchiate nella città  sul Volga sarà  celebrata alla presenza di Putin, anche con attori che faranno rivivere la scena all’interno del grande magazzino semidistrutto dove aveva sede il comando di Friedrich von Paulus.
E per disposizione del comune, il nome di quella che dal 1961 si chiama Volgograd tornerà  a essere Stalingrado: oggi e in altre cinque occasioni che durante l’anno segnano importanti eventi della Seconda guerra mondiale. Alcuni autobus, inoltre, gireranno con il ritratto del dittatore sovietico sia a Volgograd sia a San Pietroburgo sia a Chita, città  siberiana.
Naturalmente non sono mancate le polemiche, anche se buona parte dei russi non sembra in disaccordo e lo stesso presidente Vladimir Putin ha chiarito ieri il suo pensiero parlando davanti ai veterani di quell’epico scontro: «La verità  è che la vittoria in quella grande battaglia fu ottenuta dai leader militari e dai soldati sovietici».
Certo, ma Stalin? Uno dei responsabili dell’organizzazione Memorial, che si occupa della riabilitazione delle vittime delle persecuzioni sovietiche, ha condannato il ritorno al vecchio nome. «È chiaro che storicamente non si può che parlare della battaglia di Stalingrado, ma ribattezzare la città  è un altro conto. Se la Russia ebbe tanti morti, la colpa fu proprio di Stalin che non esitò a massacrare milioni di suoi concittadini».
I veterani e i dirigenti del partito comunista in realtà  premono perché la città  torni definitivamente al vecchio nome che fu cambiato da Krusciov dopo la denuncia dei crimini di Stalin. Hanno raccolto 50 mila firme che sono state consegnate a Putin.
Vari sondaggi indicano come negli ultimi tempi la figura del dittatore sia stata molto «rivista» dai russi, nonostante quasi ogni famiglia abbia un nonno o un bisnonno finito nel gulag. L’anno scorso solo il 22 per cento degli intervistati dal centro statistico Levada ha detto di ritenere che Stalin abbia giocato un ruolo negativo nello sviluppo del Paese, mentre il 48 per cento dà  di Stalin un giudizio positivo. Tiranno, ma anche leader d’acciaio che guidò il Paese alla vittoria, secondo una vulgata comune. «Non giustifico le repressioni, ma bisogna riconoscere che ha fatto anche cose positive» ha dichiarato alla Reuters il novantaduenne Gamlet Dallatyan.
Da un punto di vista militare, è ormai assodato che la catastrofe iniziale fu dovuta in buona parte proprio a Stalin che aveva smembrato i vertici dell’esercito. Poi, anche con il suo terribile ordine 227 («non un passo indietro»), impedì lo sfacelo dell’Armata Rossa.
Stalingrado non aveva una particolare importanza militare, ma divenne un simbolo, tanto per Adolf Hitler che per Stalin. Si combatté sanguinosamente casa per casa, con più di un milione di morti. Prima avanzarono i tedeschi e poi contrattaccarono i sovietici. L’accerchiamento avvenne nei mesi più freddi del 1942-1943. La vasta operazione sovietica coinvolse anche le divisioni italiane schierate sul Don che furono costrette a una tragica ritirata per non rimanere isolate. I prigionieri furono moltissimi e solo pochi riuscirono a sopravvivere alle marce di trasferimento e ai durissimi campi sovietici.
Fabrizio Dragosei


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