La dignità dietro le sbarre non può essere in lista d’attesa
La magistratura di sorveglianza ha posto così una questione di possibile incostituzionalità e ha richiesto alla Corte di esprimersi sulla possibilità di sospendere l’esecuzione, rinviandola, oltre che nel già previsto caso di grave infermità fisica, anche qualora questa possa attuarsi in condizioni tali da ricadere in quei «trattamenti o peni inumani o degradanti» vietati in modo inderogabile dall’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo. La pronuncia che si richiede è di quelle qualificate come «sentenze additive» che cioè indirettamente portano a includere altri casi oltre a quelli previsti dalla normativa vigente.
Il tribunale costituzionale tedesco si era mosso in una simile direzione nel 2010 quando era intervenuto ricordando che l’esecuzione di una pena non deve porre lo stato in condizione di contrasto con il primo articolo della propria Legge fondamentale – quella che la Repubblica federale approvò nel 1949 e che afferma appunto: «La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla». Da qui la previsione del rinvio dell’esecuzione della pena, a cui si è dato a volte il nome di liste d’attesa.
Oltreoceano, analoga è stata nel 2009 la decisione della corte suprema della California che di fronte a numerosi ricorsi per le condizioni di detenzione ha intimato al governatore dello stato di ridurre la popolazione di un terzo entro due anni. Anche qui l’affermazione è stata quella della prevalenza della dignità della persona sull’obbligo dell’esecuzione della sentenza.
Naturalmente il termine lista d’attesa è bislacco, anche in considerazione delle molte attese e code che assediano la quotidianità . Ne va chiarito il senso e il modo con cui è possibile intervenire. Il senso: si tratta di persone che devono eseguire una sentenza per una condanna divenuta definitiva e che si trovano in stato di libertà ; dovrebbero perciò entrare in carcere, venendo da fuori. Quindi, nessun allarme in termini di sicurezza. Il modo: certamente non si tratta di posticipare l’esecuzione in termini tali da attuarla dopo molto tempo, quando ci saranno posti disponibili.
Si tratta piuttosto di commutare il tempo d’attesa in un’altra misura restrittiva, per esempio la detenzione domiciliare, fintantoché l’ingresso in carcere sarà una misura contraria a quel principio fondativo del nostro consesso sociale. La corte costituzionale non potrà intervenire in questa direzione e potrà eventualmente soltanto ampliare le possibilità di sospensione: vittoria relativa, visto che nel frattempo l’esecuzione penale non procederebbe.
Tuttavia è importante che il tema sia stato posto con chiarezza. Il tema si estende chiaramente anche alla custodia cautelare in carcere e alla possibilità di prevedere che, qualora non intervengano gravi e specifiche necessità , essa possa essere disposta solo se le condizioni in cui si debba attuare lo consentano; altrimenti sia sostituita con altra misura.
Questi punti sono parte di una proposta di legge d’iniziativa popolare per la riconduzione del carcere al dettato costituzionale, su cui un gran numero di associazioni che si occupano di diritti e di costruzione della democrazia, inizieranno domani la raccolta delle firme.
* Ex presidente del Comitato europeo contro la tortura del Consiglio d’Europa
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