La cultura è un buon affare: piano europeo da 1,8 miliardi

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L’analisi parte da un presupposto, come spiega la stessa Flavia Barca: «La Commissione europea ha presentato, il 26 settembre 2012, il Piano strategico di valorizzazione delle industrie culturali e creative che stabilisce definitivamente il legame strategico tra audiovisivo e cultura e il ruolo dell’abbinamento creatività -cultura come elementi fondamentali di crescita economica e di identità  dell’Unione Europea». Questa «visione integrata» è già  presente nel nuovo programma comunitario «Europa creativa», un progetto-quadro 2014-2020 che prevede lo stanziamento di 1,8 miliardi di euro per la cultura, l’audiovisivo, le industrie culturali e creative. Pochi giorni fa la relatrice del programma «Europa creativa», l’italiana Silvia Costa, aveva invitato l’Italia «a ripensare la configurazione del ministero dei Beni culturali» per attrezzarsi «a questa sfida con un assetto più adeguato e una maggiore capacità  di progettazione che metta il Paese, e gli operatori del settore culturale e creativo, in grado di cogliere l’opportunità ».
Questo comparto integrato, spiega Flavia Barca, «diventerà  una delle chiavi di volta dell’intero sistema economico, strumento non solo di stimolo e promozione di filiere integrate tra loro ma anche di rilancio, ripensamento e valorizzazione dei piani economici nazionali». Guardando all’Europa, c’è chi si è già  dotato di strumenti operativi idonei. In Gran Bretagna il Department for Culture, Media and Sport (affidato al Segretario di Stato Maria Miller) allarga le sue competenze dall’arte alle industrie creative, incluso lo spettacolo e la moda, approdando allo sport, al turismo, alla tutela della libertà  di stampa, al patrimonio storico e naturale. Maria Miller coordina l’attività  di quattro diversi ministeri, ciascuno con un proprio titolare. Sul sito del Dipartimento si legge che la missione è «creare le condizioni di una crescita economica rimuovendo gli ostacoli e realizzando indirizzi strategici per sostenere la creatività ». In Francia il ministero della Cultura, guidato da Aurélie Filippetti, ha tre indirizzi: Patrimonio, Media e industrie culturali, Creazione artistica: quindi dall’archeologia e dal patrimonio museale alle industrie culturali, all’audiovisivo e alla stampa.
In Italia, si legge nello studio di Flavia Barca, avviene esattamente il contrario. Il modello di governance nell’ambito della cultura e delle industrie creative «è frammentato, policentrico, poco trasparente sotto il profilo della gestione. L’assenza di un perimetro ben definito e condiviso, la moltiplicazione delle fonti di finanziamento a livello nazionale e regionale che riflette una non ordinata attribuzione di competenze tra le varie istituzioni, comporta il rischio di sovrapposizioni improduttive e rende sempre critico l’impiego ottimale ed efficiente delle risorse disponibili». Figuriamoci cosa accadrà  quando arriveranno i corposi finanziamenti di «Europa creativa»: senza una visione concorde e strategica si rischierà  di perderli.
C’è insomma una «storica incapacità  di dotarsi di strumenti di coordinamento e di regia tali da ricondurre a una visione unitaria e integrata le politiche di intervento della cultura e della comunicazione». Nulla che possa coordinare e connettere «la promozione del Made in Italy, gli incentivi alle start-up creative, i contributi allo spettacolo e al cinema, l’innovazione tecnologica, le politiche di internazionalizzazione». Proprio ciò che l’Unione Europea, invece, immagina di sostenere e incentivare, soprattutto per le generazioni più giovani, col piano da 1,8 miliardi di euro 2014-2020.


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