Italia: più armi ai ribelli siriani

Loading

Che cosa siano le armi non letali è difficile capirlo, saranno i soliti “addestratori” delle “nuove forze armate” che dovrebbero nascere nella Siria del dopo Assad. In realtà  Terzi assicura anche che la coalizione antiregime ha ormai condiviso una “piattaforma concreta” che sarà  messa in campo alla fine di una guerra civile trasformatasi in una carneficina del tutti contro tutti. Il ministro da un lato afferma che l’unica soluzione è politica, dall’altro invita gli americani a essere “più flessibili”, tradotto significa a non avere remore a fornire l’opposizione delle armi di cui ha bisogno.

La situazione si rivela molto più complessa e le interpretazioni sul ruolo dell’Italia divergono. Scrive Marinella Correggia, esponente pacifista storica: “Mentre a Damasco un ennesimo attentato terroristico uccide civili in gran numero, Terzi afferma che proporrà  maggiori aiuti militari («assistenza tecnica, addestramento, formazione») ai gruppi armati di quell’opposizione che appunto annovera terroristi e jihadisti, guida nei combattimenti. Il 18 febbraio a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea aveva già  deciso di rinnovare le sanzioni commerciali e militari contro la Siria (decise nel 2011 in funzione antigovernativa), ma emendandole per fornire all’opposizione un «maggiore supporto non letale» (?) e «assistenza tecnica per la protezione dei civili» (protezione, in realtà , degli armati contro i civili, che sono vittime degli scontri e di attacchi mirati).

Sarà  contento il Qatar che giorni fa ha protestato contro la posizione non abbastanza netta dall’Ue. A gennaio l’emiro Al Thani aveva chiesto un intervento militare esterno diretto, per «fermare le uccisioni». Arabia Saudita e Qatar forniscono armi che passano dai paesi confinanti con la Siria, e secondo il New York Times la maggior parte delle forniture sarebbero finite nelle mani di gruppi jihadisti. Del resto sul terreno questi non sono separabili dai gruppi più graditi a quell’Occidente che «combatte gli islamisti» in Mali e in Afghanistan.

L’Ue ha poi mantenuto ben saldo l’embargo commerciale che contribuisce ad aumentare le sofferenze del popolo siriano preso nella guerra. Una lettera delle suore trappiste siriane parla delle sanzioni come di un’altra guerra, «diretta da grandi potenze e grandi interessi», una guerra che ha azzerato i posti di lavoro e provocato miseria; «il popolo siriano vuole la sua libertà  e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità , e anche la vita fisica di un popolo»”.

Anche il patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, Gregorios III Laham, è su una posizione simile: “la Siria non ha bisogno di forniture di armi. La nostra terra è intrisa di sangue. Più armi significa più morte, più violenza, più emigrazione, più povertà . Abbiamo bisogno che le diplomazie lavorino per raggiungere la pace. Non vogliamo denaro, non vogliamo armi. La gente siriana che soffre della violenza chiede questo alla comunità  internazionale: che si dia da fare per il negoziato, il dialogo e la riconciliazione. La Siria vuole stabilità  e sicurezza”.

Si comprendono molto bene questi appelli. La situazione si è talmente incancrenita tuttavia che, realisticamente, saranno le armi a decretare l’esito del conflitto. Questa l’analisi dell’inviato Ugo Tramballi: “La Primavera si è invece fermata a Damasco. Come le Fiandre nella Prima guerra mondiale, la Siria ha trasformato il processo in una guerra di posizione. Al posto delle trincee ci sono le confessioni e le etnie: alawiti, sunniti, drusi, cristiani, curdi. Si dice: il regime di Bashar Assad è ormai al punto di non ritorno ma l’altro punto, quello in cui crollerà , non è vicino. Se c’è una ragione di tanta caparbia e sanguinosa resistenza, quella è la natura settaria della Siria. Da quando sono incominciati i moti antiregime, nell’esercito siriano ci sono state molte defezioni. Ma per ora nessun battaglione, nessuna brigata delle potenti forze armate di quel Paese, è passata armi e cannoni dalla parte delle opposizioni. Città  intere si ribellano al regime ma altre restano fedeli. I sunniti sono divisi, molti non sono certi di voler abbandonare un regime guidato dalla minoranza alawita degli Assad, una setta sciita. A grande maggioranza, i cristiani sono dalla parte del regime”.

E sull’Italia: “L’Italia non ha una vera posizione anche perché avendo un Governo di tecnici, il Ministro degli esteri è un ambasciatore. La definizione delle politiche estere non era nell’agenda Monti. Questo governo è rimasto nell’alveo della nostra posizione tradizionale”.

Per poter dire la nostra c’è bisogno di un governo politico anche in Italia. Il dilemma tra “intervento armato umanitario” e alzata di spalle nei confronti dei massacri perpetrati dall’altra sponda del Mediterraneo ci accompagnerà  per i prossimi mesi: ciò però aumenta la necessità  di pensare e praticare vie alternative alla guerra basate sulla cooperazione e l’incontro, gli unici modi per prevenire i conflitti. [PGC]


Related Articles

Siria, l’ultimatum dei ribelli “Attaccheremo gli aeroporti civili”

Loading

 L’Onu: 1600 morti nell’ultima settimana, molti bambini   

Iraq, la grande battaglia dell’acqua i caccia americani bombardano l’Is

Loading

Mosul, i caccia Usa bombardano l’Is che assedia la diga Violenti combattimenti. I curdi: “Abbiamo vinto noi”

Freedom Flotilla: «Non intendiamo mollare»

Loading

Intervista. Parla Francesca Solari, membro del coordinamento territoriale della Freedom Flotilla Italia

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment