Incarico, la mossa di Napolitano «Aspetto le riflessioni dei partiti»
MONACO — Quando varca la soglia dell’ascensore, per lasciare l’albergo e andare a teatro, quasi inciampa nel muro di cronisti appena giunti dall’Italia. Si guarda intorno per un attimo e, mentre sta per scattare la solita cacofonia di domande, interviene lui. Sillabando, con la sua proverbiale pignoleria, poche parole. Come se dettasse un comunicato ufficiale: «Voi siete tutte persone abbastanza adulte… (dunque capitemi, è il sottinteso, n.d.r.)… io vi faccio solo una dichiarazione. Che è la seguente: il presidente della Repubblica può solo attendere, con eguale rispetto per tutti, che le forze politiche rappresentate in Parlamento facciano le loro riflessioni, alla luce del risultato delle elezioni, e gliele riferiscano in occasione delle consultazioni al Quirinale».
Ma, presidente, può dirci almeno se le sembra un voto contro l’Europa, questo?
«Non aggiungo niente, perché io non sono chiamato a commentare i risultati… sono chiamato a fare quello che ho appena detto. Ad attendere che ciascuna forza politica, in piena legittimità e autonomia, faccia le sue riflessioni. Che poi mi verranno prospettate e io allora dirò quali conclusioni sono in grado di trarre».
Concetti laconici che, mezz’ora più tardi, Giorgio Napolitano ripete al collega tedesco Gauck, rispondendo al suo saluto allo Staatsoper di Monaco di Baviera, dove il maestro Zubin Mehta dirige un’opera di Verdi: il Requiem. Già , proprio il requiem. Ossia quella composizione che, secondo il rito liturgico della Chiesa, si dedica alla memoria di qualcuno scomparso. Ciò che in questo caso fa evocare a più di una persona le (non molte, per la verità ) speranze falciate via dal voto del 24 e 25 febbraio. «Dies irae, dies illa…», giorno d’ira, quel giorno, intona il coro, e davvero è difficile non pensare che l’umore del capo dello Stato non si avvicini a questo sentimento, dopo gli infiniti avvertimenti lanciati nei mesi scorsi sui rischi di ingovernabilità e di caos che avrebbe potuto produrre l’attuale, da tutti inutilmente ripudiata, legge elettorale.
Ma queste sui sentimenti sono soltanto illazioni. Di sicuro c’è che presto il presidente si troverà ad affrontare un compito giustamente definito “proibitivo”. Ed è dunque per questo che sembra lecito interpretare le sue scarne parole come un auspicio, rivolto alla classe politica. Un appello che potrebbe suonare più o meno così: fate le vostre valutazioni e negoziate una qualche intesa, se ci riuscite, in modo di presentarvi al Quirinale con concrete proposte, che risultino poi formalizzate «per tabulas», come si dice.
C’è tempo fino al 20 marzo, data entro la quale dovrà essere insediato il nuovo Parlamento, con connessi adempimenti costituzionali, prima che la partita passi nelle sue mani. Si aprano dialoghi, insomma. Ma sapendo due cose che sono nei fatti: 1) sembra arduo che il Quirinale sprechi un tentativo in ipotesi di governi di minoranza che vada a cercarsi una maggioranza nelle Assemblee e quindi privi di salde prospettive; 2) l’esperienza dei tecnici, dopo i 13 mesi di Mario Monti a Palazzo Chigi e dato il clima del Paese, non appare facilmente riproponibile.
Questo è lo scenario cui guarda Napolitano, mentre qualcuno (ad esempio Bersani, che azzarda un governo “di scopo”) avvia le prime, complicate, prove di confronto. Scenario che dall’Europa, e dalla Germania in particolare, è considerato con palpabile diffidenza, nonostante la cortesia per l’ospite. Sarà per questo che, prima che si concluda la serata di gala, il presidente concede ai padroni di casa un paio di frasi rassicuranti o, a seconda dei punti di vista, esorcistiche. «Sono arrivato all’indomani di elezioni molto attese, in Italia… Ho mantenuto il mio programma perché sono assolutamente sereno. Quando il popolo sovrano si esprime, il capo dello Stato deve solo riflettere e lasciar riflettere i rappresentanti delle forze politiche, per trarne poi delle conclusioni per cercar di avviare su un sentiero costruttivo anche la formazione di un nuovo governo. È una prova un po’ complicata, ma sono sicuro che riusciremo a superarla nell’interesse comune».
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