In piazza i delusi di Carroccio e sinistra «Lui ci vendicherà »

by Sergio Segio | 20 Febbraio 2013 7:27

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Beppe Grillo è un punto lontano sotto il monumento a Vittorio Emanuele II, e in mezzo ci sono — almeno — altre trentamila persone venute per credere a questo strano animale politico, pronte a sentirsi nuovamente «popolo» contro l’élite, non importa quale, se romana, bancaria o europea, nel lessico a cinque stelle è il concetto che conta, non la nota a margine.
«Voglio sentirmi popolo contro i signori del bla bla». Con la sua bella faccia da brianzolo rubizzo, l’assicuratore Mauro Molteni non sembra avere una vendetta da consumare, ma l’apparenza inganna. «Io ci avevo creduto, al Bossi. Ho votato Lega fino al 2010. Mai più, mai più». Non ci sarà  un altro luglio a Pontida, come era avvenuto sempre dal 1992, quando era ancora dalla parte giusta dei trent’anni e sa Dio quanto ne è passato di tempo. Se adesso è qui, al primo gazebo M5S appena fuori dalla Galleria, con sottobraccio la sua cartella di pelle e il cappello di feltro in testa, circondato da giovani attivisti che in verità  e in confidenza gli sembrano «un po’ sinistri», firmando a tutto spiano petizioni sul quorum zero «che a dire il vero manco so bene cos’è», la colpa è soprattutto di un cliente che gli ha pagato un assegno a vuoto nel luglio 2012. «Abbiamo bisogno di qualcuno che ci protegga. La legge italiana non fa niente, io mi sono sentito abbandonato. E la Lega Nord meglio lasciar stare». Come se parlasse di una donna che lo ha tradito, della delusione di un amore al quale aveva consegnato tutto se stesso.
Il Molteni, come si definisce quando parla di sé come esempio di una piccola parte per il tutto, in realtà  è portatore di concetti che non si applicano a un solo blocco sociale o politico. Per quel poco che conta, il nostro sondaggio artigianale su quaranta elettori grillini in una piazza Duomo dove non c’era posto per uno spillo e per il dubbio contava 21 delusi Pd, 8 delusi Lega Nord, 5 del Pdl, e sei debuttanti nell’urna. La folla di Grillo è fatta di strati trasversali che in comune hanno solo il lessico, l’utopia del popolo contro l’istituzione, la voglia di sentirsi al centro di qualcosa, e una delusione più dolente che rabbiosa verso la politica di ieri e oggi.
A fede rovesciata, in ogni senso, con il voto del suo ultimo decennio pencolante tra Rifondazione e i Ds-Pd, il bancario in pensione Gigi Radaelli non è altro che un Molteni di sinistra: entrambi sono giunti stanchi sulla sponda di Grillo, con più fatalismo che entusiasmo. «Non credo che lui possa essere l’uomo del rinnovamento, ma può diventare l’innesco che lo fa cominciare» dice guardandosi intorno guardingo, come se avesse paura di essere riconosciuto. Oggi gli fa strano essere qui. Lui che sul tram 16, una volta era il 15, ci era salito con il suo papà  operaio e la bandiera rossa in spalla per i funerali di piazza Fontana, ci era salito per le assemblee del Movimento studentesco, e anche due anni fa, a sentire Nichi Vendola che celebrava la conquista di Milano per interposto Giuliano Pisapia. «Ma adesso stanno tutti con Monti, stanno con quella che piange quando mi taglia la pensione. E io cosa devo fare? Grillo mi fa schifo quando dice cose di destra, ma almeno cambierà  qualcosa». Anche qui, molta rassegnazione e una totale assenza di rabbia.
Quel rancore che il sociologo Aldo Bonomi poneva alla base del successo leghista non si è travasato nella moltitudine grillina che si dimostra meno aggressiva nelle parole e nei gesti, spesso consapevole e informata, seppure da una unica fonte. Qui prevale il fascino della proposta nuova, mischiato alla speranza di sentirsi parte di un progetto, sentimento prevalente quando l’età  si abbassa. «Ho sempre votato Pd, adesso mi piace sentirmi svincolato». «Oggi c’è profumo di novità ». Dal palco arrivano rimbombando frasi ormai note, parte di un repertorio ben collaudato che prevede il continuo ricorso alla semplificazione della complessità . Stefano Tiziano e Carmelo Chiudenti, 29 primavere cadauno, hanno smesso da un pezzo di ascoltare. Per loro va bene così. Si fanno fotografare da familiari e passanti con la maglietta del M5S, reclute al loro primo gesto politico, elettori pentiti del Pd nonché operai in sciopero di quella Trenord croce dei pendolari brianzoli. «Quelli come noi non li vuole più nessuno, tranne Grillo. Non importa ciò che dice, ci basta un cane da guardia contro i ladri».
Le cose sono sempre più complesse di come appaiono. Anche la tesi ricorrente del voto giovane come unico serbatoio del M5S sembra vacillare, in questa piazza dove non eravamo gli unici con i capelli bianchi, anzi. Ci sono donne come Loredana Flacco, che lavora in una cooperativa per il reinserimento delle persone svantaggiate e si chiede perché nessuno si occupa mai dei più deboli. «Tanto vale mettere alla prova questi». Come i due ferrovieri trasformati in uomini-sandwich, anche lei sta cercando «qualcuno che mi ascolti». La psichiatra Daniela Ghirardi è certa di averlo trovato. Ha portato la sua amica Paola, insegnante, scettica di sinistra. Quando Grillo comincia a parlare di speranza che qualcosa cambi, perché è l’intenzione che crea la realtà  nuova, applaude anche lei. Un altro voto conquistato. Tra pochi giorni ci chiederemo come è potuto accadere. Ma forse è da molti anni che abbiamo già  la risposta.

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