In fuga dalle domande e dalla democrazia
Ma senza andarci, direttamente. E senza accettarne le regole, anche le più elementari. Tra le altre: accettare il confronto con un giornalista, rispondere a domande, magari critiche.
Non ho mai creduto davvero che Grillo si sarebbe fatto intervistare in tv. Per alcune ragionevoli ragioni.
Anzitutto, perché non gli conviene. In una fase in cui tutti i sondaggi registrano la crescita impetuosa del M5S. Spinto dagli scandali che hanno scosso gli ambienti politici, finanziari ed economici. Hanno colpito a destra, a sinistra e al centro, alimentando il vento che gonfia le vele del vascello di Grillo.
In secondo luogo, andare in televisione, accettare un’intervista, avrebbe significato, per Grillo, contraddire il proprio programma politico e la sua strategia di comunicazione.
Quanto al programma politico, Grillo predica e insegue la democrazia diretta e deliberativa. Che ha due luoghi privilegiati e due nemici espliciti. I luoghi privilegiati sono la piazza e la rete. La piazza: icona e metafora della democrazia ateniese, al tempo di Pericle. La democrazia della Polis. Dove i cittadini partecipano a tutte le decisioni che li riguardano. Anche se si tratta di un “mito” difficile da realizzare quando le dimensioni della cittadinanza superano i confini della città . La rete: la nuova piazza, che permette di allargare il confronto anche oggi, nella società globale. E di renderlo costante, continuo, puntuale. In tempo reale.
La strategia di comunicazione di Grillo, peraltro, coincide con i luoghi del suo programma. Perché la sua campagna elettorale si svolge davvero di piazza in piazza, in giro per l’Italia. Attraverso il suo Tsunami tour. Con grande, grandissimo successo di pubblico. Dovunque, il pienone. Gente stipata ovunque. Attivisti, simpatizzanti e curiosi. Ad ascoltare il Capo. Perché la comunicazione di Grillo, in piazza, non echeggia la Polis, ma semmai, il teatro, il palcoscenico. In fondo: la televisione come l’ha interpretata lui in passato. Quando si esibiva, da grande uomo di spettacolo. I suoi recital: non erano confronti e discussioni nell’agorà . Ma monologhi. Come oggi, nelle piazze. Trasformate in teatri, dove egli si esibisce dal suo palcoscenico. Le piazze, dove egli tiene le sue orazioni, inoltre, riproducono con efficacia la relazione “diretta” fra il Capo e il suo popolo. Una comunicazione, però, a senso unico. Perché nelle piazze non si discute: si ascolta, si applaude, si acclama. Al più, si protesta.
La rete, evidentemente, è un’altra cosa. È uno spazio di comunicazione aperto, che permette a tutti di intervenire. Anche se poi, in realtà , nella rete non tutti sono uguali. Non tutti hanno la stessa importanza. Non tutti contano come Grillo. Anche perché non è la stessa cosa partecipare a un meetup definito su base tematica e locale o alla discussione in rete su temi generali, in ambito nazionale.
Per questo trovavo singolare la scelta di Grillo di abbandonare la Piazza e la Rete per andare in tv. Per sottoporsi al confronto con un giornalista, su quesiti e questioni “im-previste”. Di fronte a un “pubblico” ampio. Con il quale il Capo non sarebbe stato in grado di stabilire un rapporto “empatico”.
Anche perché, ultima e decisiva ragione, la tv è l’emblema della “democrazia rappresentativa”. Cioè, per citare un autore d’altri tempi, il marchese di Condorcet: la democrazia “indiretta”. Mediata dai “rappresentanti”, cioè i partiti e i politici. E, oggi, dai media e i mediatori. Cioè: la tv e i giornalisti. I due nemici, contro cui aveva organizzato i Vday. Il primo contro la casta dei “politici”, il secondo contro quella dei “giornalisti”.
Per questo, alla fine, Grillo si è sfilato. In fondo, l’effetto-annuncio l’aveva ottenuto e sfruttato. Tutti attendevano il suo ritorno. Il mancato appuntamento dell’ultima ora ha agito da ulteriore notizia “televisiva”. Gli ha permesso di marcare la sua distanza e la sua opposizione. Il suo messaggio antipartitico e antitelevisivo. Moltiplicato, per il cortocircuito comunicativo dell’informazione televisiva, proprio dalla tivù.
Il problema è che, in questa occasione, la tv si è “rivoltata” contro chi la vuole usare senza prestarsi al gioco. In altri termini: Sky non si è limitata a prendere atto dell’intervista rifiutata all’ultimo momento da Grillo. Ma ne ha fatto motivo di sfida “democratica”. Ha, cioè, incalzato Grillo. Sollevando il dubbio che il rifiuto sia dettato dall’indisponibilità a rispondere alle domande, anzi: a “domande”. Dal timore del contraddittorio. Certo, nella democrazia mediale che abbiamo conosciuto, con l’avvento di Berlusconi, la televisione è stata sempre utilizzata in modo strumentale. Il Cavaliere, in particolare, l’ha usata per “monologare”, fin dalla “discesa in campo”. Ha accettato il confronto aperto, in campagna elettorale, solo quand’era sfavorito. Come nel 2006, per colmare il distacco da Prodi. Mentre l’ha rifiutato nel 2001 e nel 2008, quando i sondaggi lo davano in largo vantaggio. E oggi vorrebbe, di nuovo, confrontarsi. Ma da solo, con Bersani. Per sfuggire alla competizione multipolare di questa fase e riproporre (meglio: imporre) uno schema bipolare – e personalizzato – che, nei fatti, non c’è.
Grillo, invece, ha diviso e divide il mondo in due. Lui e gli altri. Lui contro gli altri: i partiti, i politici, i media e i giornalisti. Per questo rifiuta i partiti, non solo la partitocrazia. Non solo la “cattiva televisione” ma la tv in quanto tale. E caccia le telecamere dal palco anche quando cercano di riprendere “il popolo” del M5S nella sua Piazza.
Tuttavia, i principi della democrazia (come ha osservato Bernard Manin) prevedono la libertà dell’opinione pubblica. E richiedono, per questo, il confronto – critico e aperto — tra posizioni e idee diverse e alternative. Espresse da candidati diversi e alternativi. Nelle piazze e nella rete. Ma anche in tivù. Dove l’80% dei cittadini si informa quotidianamente.
L’intervista accettata – e poi rifiutata – da Grillo a Sky rischia, per questo, di apparire un segno di debolezza. Più che una sfida: una fuga. Dalla democrazia.
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