Il tesoro degli immigrati quei 530 miliardi da record in viaggio verso casa
LONDRA — Da due anni Liuba fa le pulizie nelle ricche case di Chelsea, il quartier più chic della capitale britannica. E da due anni, ogni venerdì, quando riceve il salario (che qui viene pagato settimanalmente), va in un ufficio della Western Union e manda una parte dei suoi guadagni ai propri familiari in Russia. «Qualche volta anche solo 50 o 100 sterline – dice – ma per loro quei soldi sono importanti». E non solo per loro. Nuove statistiche della Banca Mondiale rivelano che nel 2012 il totale delle “rimesse immigrati”, il denaro che i lavoratori stranieri rimandano in patria dall’estero, è stato di 530 miliardi di dollari, circa 400 miliardi di euro. È triplicato nell’ultimo decennio e oggi è tre volte più grande del totale degli aiuti economici dati dal mondo sviluppato ai paesi in via di sviluppo. Se le rimesse immigrati fossero il prodotto interno lordo di una singola nazione, sarebbe la 22esima maggiore economia mondiale, più grande di quella dell’Iran o dell’Argentina.
Anticipate ieri dal Guardian di Londra, le cifre della World Bank confermano quello che molti economisti affermano da un pezzo: l’immigrazione è una formidabile fonte di vitalità sia per i paesi che la attirano, sia per quelli di origine. India e Cina, con più di 60 miliardi di dollari di rimesse annuali a testa, sono in testa a questa speciale classifica, non sorprendentemente tenuto conto dell’immenso numero di immigrati con cui hanno invaso il pianeta. Li seguono Messico, Filippine e Nigeria. L’Egitto, al settimo posto, ha raddoppiato in cinque anni il livello delle rimesse, da 9 a 18 miliardi di dollari. Ma l’impatto dei soldi mandati a casa dagli immigrati è ancora più forte in paesi più piccoli. In Tagikistan, nell’Asia Centrale, le rimesse rappresentano il 47 per cento del Pil; nello stato africano della Liberia il 31 per cento; in Khirghizistan, altra ex-repubblica sovietica, il 29. Sono paesi praticamente svuotati dall’immigrazione, perché l’economia locale offre poco e niente; ma grazie alla globalizzazione, che ha aperto le frontiere del lavoro, quegli immigrati tengono praticamente in piedi l’economia della nazione che si sono lasciati alle spalle.
Il fenomeno è sempre esistito: ne sa qualcosa l’Italia, che ha avuto per lungo tempo milioni di immigrati nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e in America del Sud.
«Ma oggi è diventato massiccio perché l’immigrazione è cresciuta (il numero totale degli immigrati legali è 214 milioni, sarebbe la quinta nazione più popolosa del pianeta, ndr) e perché le nuove tecnologie delle comunicazioni permettono di vedere subito i risultati di una rimessa», osserva Michael Clemens del Centre for Global Development di Washington. «Collegandosi gratuitamente con Skype, un immigrato può vedere alla sera la nuova uniforme scolastica che è stata acquistata in patria per i figli con i soldi che ha spedito al mattino».
Ma c’è un lato nero del boom delle rimesse: le percentuali che banche e agenzie fanno pagare agli immigrati per spedire i loro risparmi arrivano al 10 e talvolta anche al 20 per cento. Uno sfruttamento ingiusto, che il prossimo summit del G8 vorrebbe vietare, con iniziative per imporre una percentuale massima del 5 per cento a questo genere di transazioni. E per forza: i paesi ricchi della terra hanno capito che, grazie alle rimesse degli immigrati, un giorno i loro aiuti a sostegno dei paesi più poveri potrebbero non essere più necessari.
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