Il Pd congela l’asse con il Professore

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ROMA — «O noi o loro»: i leader del Partito democratico hanno deciso di dare una svolta alle ultime due settimane della campagna elettorale. Anche perché l’idea di un inciucio già  preconfezionato con Mario Monti non ha portato bene. Anzi, ha sottratto voti e simpatie al centrosinistra tutto. Regalando consensi sia a Beppe Grillo sia ad Antonio Ingroia. E quindi occorre puntare i riflettori sui due schieramenti principali, esattamente come va facendo da tempo Silvio Berlusconi. «Bipolarizzazione»: è questa la nuova parola d’ordine del Pd per recuperare voti. Pier Luigi Bersani attacca: «C’è un dato oggettivo — dice — o vinciamo noi o vince Berlusconi e quindi l’Italia va a sbattere contro un muro». Tertium non datur: Mario Monti non è in campo per vincere «ma per condizionare le nostre mosse». Anche Massimo D’Alema imposta la sua campagna nello stesso modo: «La vera sfida è tra Bersani e Berlusconi. Tutti gli altri sono personaggi rispettabili, ma non sono in corsa per vincere».
È un altro modo per chiedere il voto utile, per invitare gli elettori che non hanno ancora deciso che esprimersi a favore di Ingroia o Monti, tanto per fare due nomi non casuali, sarebbe un grosso errore, perché favorirebbe la ripresa dell’ex premier del centrodestra. Funzionerà ? Difficile a dirsi: ma il rischio di arrivare sotto la percentuale ottenuta dal Partito democratico nel 2008 ha fatto sì che tutti i dirigenti di Largo del Nazareno si mobilitassero adottando questa linea. Ormai, del resto, a criticare Monti non è, come un tempo, solo Stefano Fassina, anche esponenti del Pd come Enrico Letta e Francesco Boccia, un tempo assai vicini al presidente del Consiglio, ora hanno preso le distanze e non gli risparmiano le loro stoccate.
Ma al di là  della campagna elettorale che, necessariamente, si sta inasprendo, in realtà  i leader del Partito democratico non perdono di vista l’approdo finale. Per Luigi Bersani lo ha ripetuto ai suoi in tutte le salse: «Il quadro istituzionale dovrà  garantire il quadro politico». Traduzione: con i moderati, comunque vada a finire, una volta chiuse le urne bisognerà  trovare un’intesa sin da subito sulle tre presidenze che vanno votate: quelle di Camera, Senato e, ovviamente, il Quirinale. E con i moderati vi sono prove di intesa cordiale in Lombardia per convincere i montiani a far sì che la regione «non finisca nelle mani di Maroni, della Lega e del centrodestra». Insomma, i centristi, alla fine, potrebbero in gran parte abbandonare Gabriele Albertini per votare Umberto Ambrosoli. Ovviamente l’operazione viene condotta con grande riservatezza e pare che il candidato alla presidenza della regione Lombardia Albertini non sia d’accordo con questa strategia.
In questa campagna elettorale in cui ogni giorno si prospetta una girandola di alleanze fa le sue mosse anche Antonio Ingroia: «Non ci siamo mai sottratti al dialogo con il Pd, ci rivedremo in Parlamento per capire se si può riaprire il confronto per un governo di centrosinistra senza Monti». È uno stratagemma, quello del leader di Rivoluzione civile, per annullare la strategia del Partito democratico a favore del voto utile. E per cercare di rosicchiare altri voti a Nichi Vendola, che ieri ha prospettato addirittura un complotto dei «grandi gruppi editoriali italiani» contro Sel.
Nel frattempo, nei corridoi di largo del Nazareno, impazza il toto ministri e sottosegretari: si fanno i nomi dei lettiani Francesco Boccia e Paola De Micheli e quello di Stefano Fassina.


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