Il paese si ferma per il suo «martire»

by Sergio Segio | 9 Febbraio 2013 9:55

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TUNISI. Al cimitero di Jellaz a Tunisi ieri c’erano più vivi che morti. Si sono svolti qui i funerali di Chokri Belaid, il leader storico all’opposizione e co-fondatore del Fronte popolare, ucciso mercoledi scorso sotto la sua abitazione. Non è stata certo la pioggia a fermare i cittadini e le cittadine tunisini, né la guerriglia che ormai da due giorni si svolge nella capitale. Dinanzi al cimitero c’erano macchine che bruciavano e gas lacrimogeni lanciati dalla polizia che sono arrivati fino alla collina del Jellaz e sulle sue tombe. Ma all’interno e al corteo che ha accompagnato per la città  il feretro c’erano più di un milione di persone: un milione e quattrocentomila secondo i dati del Ministero dell’Interno. La Tunisia è corsa a salutare per l’ultima volta il nuovo martire della libertà . Un cimitero musulmano pieno di uomini e anche di donne, le quali tradizionalmente non partecipano alla cerimonia di sepoltura di un funerale. Eccezione oggi fatta a Tunisi da mezzo milione di donne di tutte le classi sociali, donne velate e non. Ieri è stata inoltre la giornata dello sciopero generale. Non ne veniva indetto uno dal 13 gennaio 2011, il giorno prima della fuga del dittatore Ben Ali.
Se il partito Ennahda, che ancora ieri veniva accusato dalla folla e dall’opposizione di omicidio, non è il mandante diretto dell’assassinio, e le indagini lo stabiliranno forse un giorno, sicuramente il governo da esso formato, insieme agli altri membri della troika, è quantomeno responsabile del clima di impunità  e di repressione che vige nel paese. Infatti, mentre si svolgevano i funerali nella collina del cimitero Jellaz, nel centro della città  sono stati visti diversi gruppi salafiti aggirarsi con bastoni e coltelli, con lo stesso stile di terrore che durante l’ultimo anno e mezzo hanno spesso mostrato. E che con maggiore violenza si sono riversati sulle vie di Sfax, seconda città  del paese. Come se non bastasse, è stata trovata, sempre in pieno centro a Tunisi, una macchina piena di armi. Ma sono i pacifici dimostranti che dal cimitero si muovono in marcia verso il centro ad essere bloccati e dispersi, quando collettivamente stavano per dirigersi verso la sede del partito Ennahda per chiedere le dimissioni del governo. Non sono potuti arrivare nemmeno alla sede degli islasmisti, dove nel corso della giornata il leader Rached Ghannouchi è apparso per parlare ai suoi simpatizzanti riuniti e poi dinanzi a una moschea, lanciando un messaggio di invito alla concordia civile. Il suo collega di partito, nonché capo del governo, Hamadi Jebali, è deciso ad andare avanti nella sua decisione di formare un governo tecnico da lui guidato, nonostante appunto l’opposizione del movimento Ennahda e del suo alleato, il Consiglio per la Repubblica.
Per oggi è annunciata una grande manifestazione nella capitale Tunisi del partito islamista, ma fino a ieri le sue sedi bruciavano. Era già  successo il giorno dell’omicidio a Monastir e a Sfax, oggi a Mahdia. E tutte le città  della Tunisia, contemporaneamente ai funerali nella capitale, sono state incendiate dalle manifestazioni e dagli scontri. A Jenduba, per esempio, città  originaria del leader assassinato nel nord-ovest del paese, al confine con l’Algeria, è stato attaccato il palazzo del governatorato, con tentativi da parte di giovanissimi di sfondare le porte. Come altrove, il risultato è stato solo la repressione e la guerriglia, che già  da giorni infuoca e poi svuota le strade del paese.
Dopo la morte del leader carismatico che raduna quasi un milione e mezzo di persone in strada, continuano le aggressioni e minacce di vari leader dell’opposizione; è successo a Ahmed Nejib Chebbi, leader del Partito Democratico Progressista, aggredito ieri, mentre all’alba di giovedi era stata saccheggiata la casa di un esponente di Nidaa Tounes, i principali sconfitti delle prime elezioni libere nella Tunisia post-rivoluzionaria.
Nella situazione instabile degli ultimi giorni, è difficile capire cosa avverrà , se la debolezza del governo porterà  alle sue dimissioni, o se passati questi giorni, tutto tornerà  alla apparente calma che regnava prima dell’uccisione di Belaid.

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