Il lato oscuro della Rete

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Il peer-to-peer (P2P) non è solo una forma di condivisione di file e capacità  di calcolo dei nostri computer, ma anche una metafora per forme di organizzazione orizzontali, paritarie, non gerarchiche e che contribuiscono allo sviluppo dei beni comuni dell’informazione. L’esempio più noto è Wikipedia, oppure il software libero, ma pensiamo anche al design open, alle piattaforme collaborative commerciali basate sul contributo degli utenti o alle reti di produzione e consumo alternative come i gruppi d’acquisto solidali o gli ecovillaggi, per arrivare all’hardware open source e alla produzione di beni materiali secondo logiche dal basso, aperte e paritarie. Michel Bauwens è un teorico eccentrico di questi fenomeni, dato che non aderisce alle visioni eccessivamente utopistiche sul ruolo salvifico delle nuove forme di cooperazione ma neppure a quelle apocalittiche sulle economie basate sullo sfruttamento degli utenti che sono all’opera nella rete. Il P2P, per Bauwens, è un fenomeno aperto, e a scegliere la direzione che prenderanno questi fenomeni saranno gli scopi e la forza delle imprese, dei governi e dei movimenti sociali.
Perché focalizzarsi sul concetto di peer-to-peer?
Oggi siamo in una congiuntura in cui le dinamiche relazioni tra pari stanno emergendo in modo massiccio. Quando parliamo di P2P non ci stiamo riferendo al file sharing, ovviamente, ma a relazioni umane profondamente orizzontali agite tramite le reti, e specialmente all’a capacità  di auto-allocare gli sforzi attorno alla creazione di valore comune. Persino l’uso delle reti che sono sotto controllo delle piattaforme proprietarie non disabilitano questa nuova possibilità .
Quali sono i settori più promettenti per la produzione P2P al di fuori della rete?
Dobbiamo allontanarci dalla distinzione troppo netta tra online e offline. Internet resta un’infrastruttura fisica massiccia; la socialità  P2P ha effetti su tutti gli aspetti della vita materiale; e qualsiasi aspetto della vita materiale ha anche lati «immateriali». Il grande cambiamento ha riguardato lo spostamento dalla produzione tra pari di conoscenza e codice informatico, alla progettazione open che è legata direttamente alla produzione materiale. Indipendentemente da questa economia «aperta» o «collaborativa», ci sono un revival e una crescita continua di economie materiali alternative, come le cooperative di lavoratori o l’economia della solidarietà . Una priorità  strategica è raggiungere una sinergia tra queste forme economiche etiche e l’iperproduttività  delle comunità  globali di progettazione open.
La mia proposta è che le comunità  comincino a usare una specifica licenza P2P che permetta la condivisione a chi contribuisce ai beni comuni o ha formati economici etici, e invece richieda un pagamento alle imprese for profit che usano i beni comuni senza contribuire. Allo stesso tempo, invito chi contribuisce a progetti di peer production di creare le sue entità  economiche: oggi i beni comuni della conoscenza, il software e il design sono sostenibili a livello collettivo ma la riproduzione sociale e il sostentamento devono aver luogo sotto le regole del capitale.
Dobbiamo creare ampie reti di economia solidale che siano in collegamento con i beni comuni e le comunità  open per coordinare la produzione P2P nel campo materiale. Lo sviluppo coordinato di forme di proprietà  e finanziamento orientato ai beni comuni (per esempio Goteo), macchinari distribuiti (come l’hardware open source) e metodi per progettazione collaborativa veloce e di altà  qualità  (come WikiSpeed) stanno preparando una profonda riorganizzazione della nostra economia materiale. La domanda per me non è se ciò avverrà , dato che sta già  avvenendo piuttosto rapidamente, ma piuttosto chi controllerà  questi processi e ne beneficerà .
Cosa ne pensi del lato oscuro della cooperazione, cioè lo sfruttamento dei produttori che cooperano nelle reti? L’economia del dono non sembra essere la giusta chiave di interpretazione.
Ci sono quattro possibili scenari organizzati secondo due polarità , quelal tra controllo centralizzato o controllo distribuito delle infrastrutture P2P, e quella tra un orientamento no profit o for profit. Nello scenario for profit + controllo centralizzato c’è il capitalismo «netarchico», in cui i creatori di valore sono ipersfruttati dalle piattaforme proprietarie, che controllano le reti, i nostri dati personali e guidano il nostro comportamento. Nello scenario for profit ma con controllo distribuito, che io chiamo «capitalismo distribuito», ci sono mercati P2P, bitcoin, e la possibile realizzazione del sogno anarco-capitalista e liberista in cui ogni essere umano è un imprenditore che cerca il proprio profitto personale. Nello scenario no profit e con controllo centralizzato, c’è il dominio della flessibilità  locale, ma manca un orientamento globale. Infine, in quello che preferiamo, ci sono beni comuni globali e la produzione materiale, rilocalizzata e sostenibile, è legata a comunità  globali di progettazione open e a una governance globale democratica post-capitalista e post-statuale. Tutto è già  in essere oggi. La domanda è: quale sarà  dominante tra 20 o 30 anni?
Le lotte globali contro i sistemi di proprietà  intellettuale non hanno raggiunto i loro obiettivi. C’è un futuro per un sistema legale più aperto?
I sistemi legali sono i più lenti a evolvere. Ma io vedo l’emergere di un «costituzionalismo transnazionale sociale», per esempio la nascita di nuove leggi sui beni comuni nate da pratiche sociali orizzontali e dagli statuti che adottiamo nelle nostre comunità  di produzione P2P. Per me, la licenza Gpl (quella del software libero, ndr) è costituente, dato che rende possibili i valori che costituiscono le regole di alcune comunità  umane. E ciò sta accadendo a una scala enorme. I valori che sono incorporati nelle nostre tecnologie creano pratiche «open», «peer-to-peer» e basate sui beni comuni e quindi portano alla creazioni di nuove catene di creazione del valore e nuove istituzioni. Devo ammettere che la governance globale è la sfida chiave, richiede una maturità  maggiore nelle nuove pratiche sociali e nella costruzione di nuove istituzioni.
Quali sono le possibilità  politiche aperte dalle pratiche P2P?
Ogni nuova pratica sociale comincia come realtà  sottoculturale, creando nuove forme sociali emergenti. Poi nascono nuove istituzioni sociali per proteggere e perpetuare queste pratiche. Infine, a causa dello scontro con i vecchi interessi e la repressione, queste istituzioni si politicizzano e cominciano a cercare di cambiare la realtà  politica in modo da includere nuovi interessi e valori. Per esempio, le comunità  di file sharing hanno generato prima «Pirate Bay», cominciato a sviluppare licenze copyleft e alla fine hanno creato i partiti pirata. Io vorrei una coalizione globale di forze sociali riunite attorno ai beni comuni. Questa alleanza dovrebbe includere i partiti pirata, che emergono direttamente dalle culture digitali e rappresentano i lavoratori precari della conoscenza. I verdi, che vogliono tutelare i beni comuni naturali. I nuovi partiti della sinistra radicale, che si concentrano sui beni comuni della produzione. E infine i liberali di sinistra, che rappresentano le nuove forme di imprenditoria etica legata ai beni comuni. Questa alleanza potrebbe emergere nel giro di 10-15 anni.
Tuttavia la cosa più urgente oggi è riconnettere queste pratiche politiche con le nuove istituzioni P2P e i movimenti che stanno emergendo dalla trasformazione delle modalità  di produzione. Come il movimento dei lavoratori una volta era costituito da cooperative, mutue, sindacati e partiti, abbiamo bisogno di cooperative, mutue, ecc P2P. La politica P2P non è un cambiamento incrementale all’interno di un sistema in decomposizione, ma lo sviluppo di una nuova egemonia sociale e un programma di transizione verso un’economia politica sostenibile e P2P. Dobbiamo attenderci un periodo in cui il capitale usa strumentalmente il P2P. Nello scenario migliore, dopo una crisi più profonda potremmo avere un nuovo ciclo basato su un nuovo set di forme di produzione che includano aspetti green e P2P. Dobbiamo usare questo periodo per costruire una nuova egemonia. In alternativa dovremo creare pratiche P2P più flessibili e localizzate, con un costo sociale più alto.
Cosa pensi dei movimenti sociali che adottano pratiche P2P? Corriamo il rischio di non capire movimenti come quelli arabi o Occupy se ci focalizziamo solo sulle loro caratteristiche organizzative?
Credo che tutti i movimenti sociali emergenti rifletteranno in qualche misura le condizioni della nuova socialità  P2P. Ovviamente in Medio oriente si trattava di una minoranza, e l’unico risultato è un islam conservatore che rifletta i valori della maggioranza di lavoratori rurali e migranti, guidato dalla borghesia nazionalista, oppure una versione più liberale che lotta per le nostre viziate forme di democrazia. In occidente ci sono grandi gruppi di lavoratori precari e cognitivi: sanno che le forme di democrazia sono disfunzionali e hanno perso il legame tra stato e finanza. Per questo vi è la richiesta di «vera» democrazia.
Il problema è che questi movimenti possono mobilitarsi rapidamente, ma non hanno i meccanismi di solidarietà  necessari per restare al potere. Inoltre manca una meta-narrazione e quindi c’è gran confusione sulle richieste politiche, con il rischio di paralisi. E poi il feticcio del puro orizzontalismo, riflesso nelle dinamiche del consenso puriste e nella tensione «antipolitica», è controproduttivo. Tuttavia si tratta di movimenti importanti perché creano consapevolezza ed esperienza politica. Forse è troppo presto per avere forze politiche e sociali mature basate su P2P e beni comuni, ma queste forze trasformative devono venire da questo tipo di movimenti sociali, non dalle vecchie forze legate ai programmi di redistribuzione della ricchezza basati sul rapporto capitale-lavoro. Ma la cosa più importante è che le forze P2P devono usare qualsiasi congiuntura per costruire lentamente un’infrastruttura autonoma di produzione e sostentamento. Non fatevi distrarre dallo spettacolo, costruite le vostre vite P2P in tutti i domini possibili.

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AL MACRO, «LE NUOVE GEOGRAFIE ARTISTICHE»
Oggi alle ore 18.30, il Macro ospiterà  la presentazione del volume di Roberto Pinto, «Nuove geografie artistiche. Le mostre al tempo della globalizzazione» (Postmedia Books). L’autore rifletterà  sulle trasformazioni culturali, politiche ed economiche avvenute in questi anni, insieme alla critica Teresa Macrì.

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RITRATTO D’AUTORE

Michel Bauwens, studioso belga, classe 1958, è il fondatore e il principale animatore della P2P foundation (p2pfoundation.net), un progetto di studio sulle forme emergenti di produzione collaborativa e praticata escusivamente tra pari. Filosofo di formazione, Bauwens è autore di numerosi saggi sul ruolo politico, sociale ed epistemologico del P2P. Giovedì 14 febbraio sarà  al Pianoterra, a Milano, per un seminario intitolato «Let’s collaborate. P2P and new forms of cooperation».


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