by Sergio Segio | 21 Febbraio 2013 7:25
Il grande inciucio che ha portato Giovanni Malagò alla presidenza del Coni a dispetto di tutti i pronostici non poteva nascere che sul “Teverone”, come nell’antichità veniva chiamato questo braccio d’acqua nel quale Tevere e Aniene “inciuciano”. È qui che Giovannino, il Rubirosa dei Parioli bello e possibile, ha fatto del Circolo Canottieri Aniene, nato nel 1892 da una costola del Tevere Remo, considerato troppo nero e papalino, la più formidabile concentrazione di upper class della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi, dei ruoli e della ricchezza, il melting pot perfetto di alti burocrati e palazzinari, professionisti e commercianti, imprenditori e star o pseudo tali dello sport e dello spettacolo.
Il Generone romano, come veniva chiamato il ceto borghese ai tempi della nobiltà nera vaticana, oggi alligna vigoroso non solo nella marca del nuovo presidente del Coni, ma in un’altra decina di circoli di serie A, reali o ex reali, dove pseudo-canottieri e tennisti con protesi d’anca intrecciano amicizie, affari e solidarietà . Vi dice qualcosa il fatto che la nomina di Malagò, candidato sfavorito, sia stata patrocinata da Gianni Letta, che si è adoperato per settimane al mercato degli Scilipoti dello sport, disposti a cambiare insegne pur di entrare nella nuova congrega di potere dotata di ricchi premi e cotillons?
Letta del Generone è un po’ il Visir. Amministra carriere pubbliche, pilota affari, fa incontrare persone e mondi diversi, dal Vaticano alle Federazioni sportive, fino agli spogliatoi che contano. Non lo fa più – si spera – da palazzo Chigi, per cui i circoli sul Tevere, dove il Gin Rummy e il Burraco sono più frequentati dei remi e dei campi da tennis, trasformandosi talvolta in tavoli trasversali che sembrano consigli d’amministrazione, sono tornati una frazione delle sue giornate. Lui non risulta iscritto all’Aniene, che vanta invece tra i soci suo figlio Giampaolo, ma al Circolo Canottieri Roma, di cui storico presidente è stato il suo amico camiciaio-stilista Gianni Battistoni. E poi, ovunque vada lo fanno socio onorario, senza che debba neanche pagare le salate quote. Ma vuoi mettere le prospettive di potere che apre Megalò – pardon Malagò – al vertice dello sport nazionale, scalato anche per i meriti acquisiti comprando – con qualche lamentela dei soci che hanno visto crescere le già cospicue spese – super-atlete come la Pellegrini e Josefa Idem?
Alquanto in ribasso, invece, con qualche problema finanziario, il Circolo Canottieri Lazio, che tuttavia ha una primogenitura invidiabile, avendo dato l’ispirazione di quei piccoli geni un po’ squinternati dei fratelli Vanzina, grandi amici di Giovannino Malagò, che già nel 1998 hanno scritto la sceneggiatura di un film intitolato “Simpatici e antipatici”. Regista Christian De Sica, cast composto da Eva Grimaldi, Andrea Roncato, Alessandro Haber. Superbo cameo Gianfranco Funari nei panni di Cesare Previti, per due volte presidente del Canottieri Lazio, dove Stefania Ariosto raccontò di averlo visto consegnare a Renato Squillante, dopo una partita di calcetto, una busta gialla contenente una mazzetta e richiamarlo a gran voce perché il magistrato l’aveva lasciata incustodita: «A Renà , te stai a dimenticà questa!»
È passato un secolo dai tempi di Tangentopoli, quando il presidente del Canottieri Roma Franco Pesci, marito di Virna Lisi, costruttore e al tempo stesso vicepresidente dell’Inail, fu arrestato per mazzette. Il consocio Marco Squatriti, detto Squatriarcos e allora marito di Afef Jnifen, fu arrestato allora, ma ci è ricascato poche settimane fa. Anche i circoli più antichi e prestigiosi fecero fatica a recuperare la crisi d’immagine che ingiustamente allora colpì tutti. Malagò e gli altri puntarono allora sul richiamo alle antiche origini, lo sport d’eccellenza, l’agonismo, l’eticità e i soci onorari conquistati “agratis”, come Carlo Azeglio Ciampi. Ma gli scambi di favori e le fedeltà antiche o recenti sono una colla che va ben oltre i tavoli di carte e le remate sul “Teverone”, riservate a pochi appassionati. Perché in Italia, dove la concezione del potere poggia non sul merito ma sulla cooptazione, più che la conoscenza contano le conoscenze.
Nei circoli sul Tevere tutti si danno del tu, il funzionario di banca in carriera, il manager di medio calibro, il dirigente ministeriale e l’imprenditore plurimiliardario o il ministro in carica. Cesare Romiti non frequenta più molto l’Aniene, ma i suoi figli sì, tanto che Piergiorgio ha appena “presentato” come nuovo socio l’economista ed ex ministro Paolo Savona, ma si narra che la prima volta che vi mise piede, romano ma aduso alle savoiarde abitudini torinesi, si sentì apostrofare: «Ciao Cesare, come va?» E lui: «Scusi, non ci conosciamo, perché mi da del tu?» Malagò, che ci ha confermato l’episodio, ne trae spunto per santificare la funzione dei circoli sul Tevere, sottraendoli alla fama di luoghi deputati al patteggiamento di connivenze talvolta opache: «Tutti si danno del tu per statuto perché nessuno si deve sentire nessuno, il peso del rispettivo potere va lasciato fuori. È ammesso il cazzeggio più che il business, non siamo una lobby d’affari, ma una lobby di rapporti umani». Così puoi dare del tu al banchiere Luigi Abete, all’imprenditore Nerio Alessandri, a Francesco Gaetano Caltagirone, a Pietro Salini, ad Alessandro Benetton e, da pochi giorni, anche al viceministro del Lavoro Michel Martone, che Elsa Fornero ha un po’ oscurato, ma che qui troverà un sacco di amici. Più difficile, al momento, dire ciao ad Angelo Rizzoli o a Francesco Caltagirone Bellavista, che hanno un po’ di guai giudiziari. Ma, per stare ai ricchi e famosi, puoi sempre conversare con Verdone, Zoff, Pescante, Panatta. Sembra invece che Petrucci, il cui candidato è stato scalzato dal Coni, cambierà circolo.
Per capire le relazioni di ogni tipo, che Giulio Andreotti ama ricostruire sui necrologi del “Messaggero” ma soltanto post-mortem, basterebbe scorrere le liste dei soci dei circoli. Altro che affari e connivenze, vale anche per le relazioni sentimentali, tanto che il ministro Corrado Passera è convolato a nozze con una signora conosciuta all’Aniene, pronubo il solito Malagò.
Aniene, Tevere Remo, Roma, Lazio, Parioli, Tennis Club, Tiro a volo, dove non sparacchiano il sottosegretario di Monti Antonio Catricalà e l’ex ministro Franco Frattini, che non va invece agli Esteri, dove l’ambasciatore Vattani ha messo come presidente non il figlio, ex console attivista fascista, ma il fratello. Ecco i templi del Generone di potere. Poi ci sono i circoli più su, ma molto più su, quelli nobili come la Caccia e gli Scacchi, a palazzo Borghese e a palazzo Rondanini, dove quando si cerca di essere ammessi ogni palla nera contraria vale tre palle bianche favorevoli, come personalmente verificarono Paul Getty («E allora me lo compro», sibilò), Valentino Bompiani e Francesco Cossiga. C’è qualche socio senza quattro quarti di nobiltà , come Lorenzo Pallesi e Paolo Scaroni, ma le palle dello stemma sono essenziali e cancellano molte nefandezze. Quando il Pm di Potenza Woodcock arrestò Vittorio Emanuele di Savoia, il Duca di Castel Garagnone Marchese don Giulio Patrizi di Ripacandida e il Marchese Paolo Patrizi Montoro Naro, chiesero la sua espulsione da Caccia e Scacchi. Ma si alzò il principe Carlo Giovannelli che lo salvò con queste parole: «Chi tra noi non è mai andato con una prostituta?» Tutti tacquero.
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